“Il tempo è un dio breve” di Mariapia Veladiano

di / 11 gennaio 2013

Siamo in tempo di madri sempre più morbosamente affettuose, di affetti inquinati da insicurezze e vigliaccherie, di famiglie che stanno insieme per inerzia o che si dividono silenziosamente. Il relativismo della nostra epoca mette a rischio il più idolatrato dio della modernità, la comunicazione, incrinando i rapporti, e il senso dei rapporti. In tutto questo sembra necessaria una ridefinizione delle priorità morali, a cominciare da un tema arcaico, innestato sul moderno spirito cattolico: il dolore. Perché soffrono i bambini? Perché siamo destinati al fallimento degli affetti? Come salvare la carità di Dio davanti lo scempio del male?

Il tempo è un dio breve, secondo romanzo di Mariapia Veladiano si interroga su presupposti di questo tipo, mettendo in scena un padre che rinnega il figlio, una famiglia evanescente e un Dio imperscrutabile e oscuro. In tutto questo, Ildegarda, protagonista della storia, affronta le umiliazioni e le prove del suo Dio con ribelle rassegnazione fino a un morbido martirio finale nella splendida cornice alpina della Croda di Luna. Le interrogazioni che la madre disperata rivolge al Signore cui non può rinunciare passano per gli articoli del giornale cattolico con cui collabora e le discussioni con Dieter, pastore luterano incontrato in vacanza, che diverrà il padre putativo del piccolo Tommaso.
L’opera seconda della Veladiano, recensita su spazi di primo piano e tenuta a battesimo da un padrino d’eccezione come Cesare Segre (Il Corriere della sera, 15 novembre 2012) scorre via con lo stile fluido e fin troppo naturale che sempre più ci sembra la meno confondibile marca del team einaudiano. La storia oscilla fra le temperanze di una marcia di fede e l’impatto shock di un realismo senza mezzi termini, meno riuscita questa seconda parte. Il grande respiro di questa opera che gioca a confondere le tre carte di laicità, ortodossia ed eresia, va lentamente diminuendo il perché si soffre? della premessa, in un non meno nobile perché soffro io? della conclusione.

La Veladiano, vicentina, laureata in Filosofia con una Licenza in Teologia (leggiamo sul suo sito personale, mariapiaveladiano.com) collabora con Repubblica, Avvenire eIl Regno. Con La vita accanto, suo esordio sempre per Einaudi, si è aggiudicata il Premio Calvino e nel 2011 è arrivata seconda allo Strega.
Ci troviamo insomma di fronte un’ottima scrittrice, inserita nei meccanismi dell’editoria forte, agguerrita, preparata (per molti anni insegnante, dirige ora un istituto comprensivo a Rovereto) che sa rivolgersi a un pubblico immaginabile, senza tuttavia escludere il lettore occasionale o non inquadrato. Le duecentoventicinque pagine di questo suo ritorno in libreria offrono momenti di piacevole coinvolgimento, calando sul finale, trascinato per tutta l’ultima sequenza (l’annuncio del tumore alla protagonista) in un tentativo di chiudere i conti con le aspettative lasciate in ballo.
Aspettando il terzo capitolo di questo piccolo ciclo, non escludiamo che la vicenda possa strappare qualche lacrima al lettore meno insensibile, in virtù del suo teatro di personaggi veri e per bene, persi davanti l’ineluttabilità della storia, aggrappati al filo di una fede ora forte, ora a rischio, mai abbandonata.

(Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve, Einaudi, 2012, pp. 225, euro 17)

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