“Il cacciatore di larve” di Amir Tag Elsir

di / 8 aprile 2013

Il sempre più intenso interesse verso la narrativa araba fra gli editori italiani, dopo La migrazione a Nord (Sellerio, 2011) del celebre Tayeb Salih, si riconferma con Il cacciatore di larve (Nottempo, 2013), di Amir Tag Elsir, finalista nel 2011 dell’International Prize for Arabic Fiction. Nel suo primo libro tradotto in Italia, Tag Elsir irride l’amara, quanto attuale scommessa che chiunque possa scrivere un romanzo godibile, soffermandosi sui chiaroscuri fra la realtà narrata e la narrazione. Un’impostazione problematica espressa attraverso la più classica dialettica del doppio: se ne I Fiori blu Queneau domanda invano chi sia dei due protagonisti il sognatore e chi appartenga al sogno, qui Tag Elsir gioca con un koan ineffabile all’interno di una struttura narrativa altrettanto ben architettata, dando voce ai vaniloqui esasperati di un romanziere e agli strazianti abbozzi di scrittura del suo allievo, due personaggi che paiono contendersi la creazione dello stesso romanzo.

Abdallah Harfash, ostacolato da una protesi di legno – un chiaro segno di elezione, ripete a se stesso – e costretto alla pensione per un incidente, concepisce ex-abrupto l’idea di scrivere, nonostante la sua tracotante estraneità verso i libri. «Scriverò un romanzo. Sì, scriverò. È strano davvero che un’idea simile sia venuta in testa a un agente segreto in pensione come me». Riversando nella scrittura le ambizioni di rivalsa verso l’inarrestabile nugolo di scribacchini di successo, l’uomo si presta a un turbinoso inseguimento di personaggi ricchi di spunti narrativi. Tuttavia gli automatismi della sua scrittura rendono ogni manoscritto simile a un’amorfa e affettata relazione di polizia e nemmeno leggere altre opere lo libera dal compiacimento focoso e solipsistico, poiché gli prospetta l’agognato trionfo attraverso il plagio.

Lo scrittore A.T. è il contraltare di Abdallah, al quale concede un rapporto esclusivo per ricambiare il suo intervento salvifico presso la polizia. Come se si specchiasse in un sosia sgraziato e privo di talento, A.T. gli rivela i propri segreti professionali: «La scrittura somiglia alle fasi di sviluppo degli insetti. L’uovo si trasforma in larva, che è una creatura piccola e fragile, poi diventa una pupa, dentro a un bozzolo per diventare un insetto adulto». Figura carismatica in una cerchia esaltata ed elitaria di un caffè letterario, A.T. non nasconde l’inconsistenza artistica di molti intellettuali, creduli e crogiolati in pose autocelebrative, ma ne sfrutta la suggestionabilità con aneddoti e sparate categoriche, approfittando degli spazi di inoffensiva espressione che il regime malvolentieri tollera.

L’affondo alla liberà di opinione è rappresentato con un’ironia caustica e ilare, che spiazza per la notevole capacità di dialogare con il tragico e con la quotidiana follia di una giostra grottesca di marionette, abituando il lettore al piacere dell’iperbole, suggellato nel finale attraverso un’abile mossa in grado di sovvertire le prospettive narrative.

La capacità di Tag Elsir di recidere l’incipiente cupezza di un’Africa spossata da regimi famelici e da inferni bellici e acclimatata ai desideri occidentali sta nell’incanto della «leggerezza dell’uccello e non della piuma» caldeggiata da Valéry, che, lungi dall’essere frivola, si armonizza con una rielaborazione genuina dell’espediente arabo per eccellenza del racconto-cornice, nel quale balugina una ragnatela di micro-storie illuminate da una lingua semplice ed espressiva, ben resa dalla traduttrice Samuela Pagani.
 

(Amir Tag Elsir, Il cacciatore di larve, trad. di Samuela Pagani, Nottetempo, 2013, pp. 191, euro 14,50)

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