“Inclini all’amore” di Tijana M. Djerkovic

di / 9 luglio 2013

«Nel teatro cechoviano il fucile che compare nel primo atto deve necessariamente sparare nell’atto successivo. Nella vita, che pure è teatro, non succede quasi mai. E infatti l’apparizione di Dio nel primo atto dell’esistenza di Vladimir fu breve e non conobbe repliche, anche se forse il fucile-Dio sparò alla fine della sua vita, per uccidergli il figlio, confermando ancora una volta l’idea che se n’era fatto: un vecchio dispettoso, cattivo e ingiusto».

Così Tijana M. Djerkovic racconta in Inclini all’amore (Playground, 2013) la morte di Mihailo.
Mihailo muore. Mihailo figlio di Vladimir, muore. Mihailo figlio di Vladimir, figlio di Milovan, muore. Muore leggero, durante il sonno. Muore, e con lui l’intera stirpe dei Vukovic, che tramanda, di padre in figlio, l’orgoglio della terra montenegrina. Insieme a questa morte atroce e ingiusta, come sempre è ingiusta la morte di un giovane, avverrà in Arianna, primogenita di Vladimir, la dolorosa presa di coscienza di non essere lei «il prolungamento ideale» del padre, come aveva da sempre creduto; e che da quel momento il padre non ci sarebbe stato più per lei: «né per lei, né per nessuno». Perché lei, Arianna, è solo una donna.

E per le donne non c’è spazio, se non come genitrici e madri, nella stirpe dei Vukovic. Ché le donne devono tacere, e sottostare al volere dei padri prima, e dei mariti poi. Il cognome, lo portano gli uomini, e con quello la storia della famiglia, che è tutto quello che conta per un Montenegrino. E questa è la storia di una famiglia, o meglio la storia di Milovan prima, che insieme al fratello e ad altri compagni viaggiò per anni e anni in Europa e in America in cerca di lavoro, per far ritorno un giorno in patria con i soldi necessari a costruire la propria casa e arare la propria terra; e di Vladimir poi, che giovanissimo diventa partigiano, scontrandosi violentemente con tutti gli orrori della guerra, dalla perdita di un braccio alla deportazione in Africa, fino alla scarcerazione e all’inizio di una nuova vita a Belgrado. Ma è anche la storia di una terra, il Montenegro, tormentata da continue guerre fratricide, forte e arida, selvaggia e fiera, che proprio nello sguardo nobile e verde-azzurro dei Vukovic si riflette, sublimandosi.

Le donne ci sono, vivono all’ombra dei loro imponenti mariti; tacciono, ma portano dentro di sé tutta la sconcertante verità di cui quegli stessi uomini-padroni non riescono a farsi carico. Il dolore violento della perdita di uno, due cento figli: come succede a Milena, la piccola e corvina moglie di Milovan, e a Vera, la bellissima e delicata compagna di Vladimir, che non sopravviverà al dolore della perdita del figlio. E poi c’è Arianna (dietro la quale si nasconde la stessa autrice), la moderna e anticonformista figlia di Vladimir, che stenta ad accettare il suo ruolo di donna, che non si rassegna a essere soltanto una figlia come tante, e non la prediletta, e non la naturale prosecutrice dell’orgogliosa stirpe da cui proviene.

In questo rifiuto sta la volontà di riscrivere la storia della sua famiglia, quella del nonno Milovan, moderno aedo, che con le sue storie di viaggi incanta le platee di uditori che si raccolgono la sera intorno a lui; e quella del padre Vladimir, intellettuale divoratore e collezionista di libri a cui lei stessa attinge, bramosa, sin da piccola. Lei, Arianna, l’ultima dei Vukovic, una donna, diventa biografa e testimone oculare della sua famiglia: impossibilitata a tramandarne il nome attraverso la sua discendenza, non può fare altro che scriverne la storia affinché venga affidata ai posteri, affinché diventi immortale.

Inclini all’amore è il racconto per gradi di tre generazioni di uomini, quasi un romanzo epico dove si narrano le peregrinazioni di Milovan e del suo nostos in patria, ma anche delle guerre civili che sconvolsero e macchiarono la penisola balcanica del sangue di tanti e tanti fratelli, e di cui lo stesso Vladimir diventa testimone, perseguitato e mutilato fin dentro l’anima. È la storia di un dolore, profondo e sordo, soffocato dentro al petto per paura che, tirandolo fuori, diventasse troppo violento, troppo grande per essere contenuto, troppo feroce perché non pretendesse il sangue di altri fratelli. Ma è anche la storia di chi, di quel dolore, ne ha fatto humus vivificatore, nutrimento dell’anima trasformandolo in amore, puro e sincero, solare, che è amore incondizionato, per la vita.

(Tijana M. Djerkovic, Inclini all’amore, Playground, 2013, pp. 212, euro 15)

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