“Il ragazzo selvatico” di Paolo Cognetti

di / 25 settembre 2013

Dopo il chiacchierato Sofia si veste sempre di nero (minimum fax, 2012), Paolo Cognetti torna in libreria con Il ragazzo selvatico (Terre di mezzo, 2013), in cui decide di abbandonare il racconto della storia di personaggi inventati per concentrarsi su una narrazione di tipo più personale. Il ragazzo selvatico infatti è l’autore stesso alle prese con una delle sue più grandi passioni: la montagna.

Quando la vita in città inizia a diventare insopportabile, quando la metropoli stessa, con le sue luci intermittenti e i suoi rumori, diventa ingombrante per un animo sensibile e assorto come quello di uno scrittore, Paolo decide di rifugiarsi in una baita alpina a duemila metri d’altezza. Qui, assaporando una vita senza ornamenti e senza artifici, entrando in contatto con i bisogni umani più puri ed essenziali, l’autore spera di ritrovare una smarrita serenità interiore e gli stimoli giusti per una scrittura più intensa e coinvolgente.

Ciò che ne risulta è, come si evince anche dal sottotitolo del libro, Quaderno di montagna, una sorta di diario di bordo di un’esperienza ad alta quota in cui l’io narrante annota scrupolosamente gli avvenimenti accaduti e li mette in relazione con il proprio stato d’animo. Nessuno dei fatti raccontati è di per sé un evento eclatante: l’incontro con una lepre, un temporale, una notte sotto le stelle, l’organizzazione di un orto. A rendere questi avvenimenti salienti è il confronto con la natura, con una forza tanto grande ma proporzionata alle potenzialità fisiche e mentali dell’essere umano, il quale spesso avverte la necessità di metterle alla prova e comprenderle per ottenere maggior consapevolezza di sé.

E nonostante lo sfondo del racconto sia dipinto del colore della solitudine, non mancano alcuni incontri con persone di sorprendente intensità, per lo più pastori che con la natura collaborano e dialogano ogni giorno: persone che per motivi diversi sono state portate a non avvertire l’eccezionalità di una vita scabra ed essenziale rispetto alla vita artificiale a cui ormai il cittadino moderno si è addomesticato.

L’altro colore dominante della narrazione è quello dello stupore che brilla a ogni passo su un sentiero sconosciuto, a ogni cambiamento climatico, a ogni incontro e a ogni emozione primordiale scaturita dal più apparentemente insignificante accadimento. Paolo si trasforma in un ragazzo selvatico per rigenerare il suo bagaglio emozionale, comprendendo che tale entità è l’essenza originaria che dimora dentro ognuno di noi, che ci permette di affrontare la vita stupendoci della bellezza e superando il dolore.

L’essenzialità sperimentata dell’autore durante questa avventura in montagna è ricalcata fedelmente da uno stile narrativo al limite della semplicità: il linguaggio è disadorno e la successione degli eventi lineare come in un diario a cui manca solo l’indicazione della data. Inoltre, Cognetti inserisce ingenti citazioni da altri scrittori piuttosto che complicare la sua prosa, come se volesse preservare anche la sua scrittura da qualsiasi virgola artificiale e preferisse quindi rimanere il più distante possibile da una pretesa letteraria: piuttosto che un libro destinato alla pubblicazione, sembra infatti di leggere, di sbirciare quasi, le intime confidenze del diario personale dell’autore.

(Paolo Cognetti, Il ragazzo selvatico. Quaderno di montagna, Terre di mezzo, 2013, pp. 104, euro 12)

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