[LostInTranslation] “Jack Goes Boating” di Philip Seymour Hoffman

di / 11 febbraio 2014

Inauguriamo oggi la nuova rubrica mensile di cinema LostInTranslation in cui verranno presentati e recensiti film di recente produzione che, pur di riconosciuto interesse artistico, per motivi di varia natura non hanno trovato spazio nella distribuzione cinematografica in Italia dovendosi accontentare, nella migliore delle ipotesi, del passaggio diretto nel mercato domestico o televisivo.

Il primo titolo selezionato vuole essere un omaggio a uno dei più dotati attori statunitense degli ultimi anni, scomparso di recente a soli quarantasei anni per un’overdose di eroina: Philip Seymour Hoffman. Jack Goes Boating è il suo primo e unico film da regista, di cui è anche protagonista e produttore esecutivo, presentato nel 2010 al Sundance Film Festival e passato per varie manifestazioni internazionali tra cui la ventottesima edizione del Torino Film Festival.

Jack è un autista di limousine appassionato di cultura reggae, timido al limite dell’imbarazzo sociale. La sua vita non gli offre molto altro oltre il lavoro e la musica giamaicana che ascolta in continuazione. Il suo collega Clyde, il suo unico amico, gli propone un giorno di uscire con Connie, nuova collega della sua compagna Lucy nell’impresa di pompe funebri dove lavora. L’incontro con la ragazza sarà l’occasione per Jack di scoprire nuovi stimoli e un nuovo slancio per la vita. Proprio per mantenere l’impegno preso con Connie di portarla in barca (da cui il titolo) quando arriverà l’estate, Jack affronta la sua paura dell’acqua, impara a nuotare, a cucinare, cerca un lavoro migliore, si impegna, insomma, per essere l’uomo che vorrebbe offrire a Connie.

C’è un testo teatrale dietro Jack Goes Boating, una pièce scritta da Robert Glaudini (che del film è sceneggiatore), che Hoffman aveva già interpretato nel ruolo di Jack al Public Theater di New York. Nel passaggio sul grande schermo l’impianto teatrale rimane pressoché immutato: molti dialoghi a due, con annessi lunghi silenzi, poco movimento, prevalenza degli interni e dimensione spaziale di New York ridotta a qualche suggestiva ripresa dei ponti e di Central Park e un blitz al Waldorf Astoria.

Per il resto va detto: per quanto la stima per l’Hoffman attore sia (stata) tanta, l’esperimento dietro la macchina da presa non è riuscito, non colpisce, non brilla. È una commedia sentimentale romantica abbastanza tradizionale nel suo voler far vedere a tutti i costi di essere indipendente. La coppia Jack-Connie fa una grande tenerezza con il loro marchio speciale di speciale disperazione che li unisce nell’essere problematici, lui così timido da essere quasi muto, lei sempre pronta a buttarsi giù, a sottovalutarsi, a sopportare gli abusi. Si costruiscono a vicenda come esseri umani e si supportano, mentre accanto a loro, invece, Lucy e Clyde smettono di sopportarsi e crollano come la costruzione del loro amore che non regge più. Questi, però, sono pregi soprattutto di scrittura, solo parzialmente di regia.

Hoffman, dietro la macchina da presa, si limita a un lavoro ordinario privo di momenti di slancio, di guizzi, a parte forse la nuotata simulata guardando l’autostrada, che si limita a riproporre certe convenzioni del cinema indipendente che si propone di presentare un percorso di formazione. Davanti alla macchina da presa, invece, comunica con tutto se stesso l’imbarazzo costante di Jack, la sua fisica difficoltà nel collocarsi nel mondo, l’impaccio che il suo corpo grande e bianco prova nell’occupare lo spazio.

È l’unica forza, insieme agli altri interpreti Amy Ryan, John Ortiz, Daphne Rubin-Vega, e a un uso della colonna sonora, dei Fleet Foxes, che diventa personaggio o commento aggiuntivo, di un film convenzionale nel suo proporsi come alternativa rispetto ai linguaggi abituali della commedia romantica.

Probabilmente, se si fosse dato più tempo, Hoffman avrebbe trovato il modo di sviluppare un linguaggio registico personale già da quella che avrebbe dovuto essere la sua seconda regia, quell’Ezekiel Moss, con Jake Gyllenhaal e Amy Adams, le cui riprese sarebbero dovute iniziare nel 2014. Ora non sarà più possibile sapere se, oltre a un grandissimo attore, Philip Seymour Hoffman sarebbe diventato anche un regista di talento.

 

(Jack Goes Boating, di Philip Seymour Hoffman, 2010, commedia, 90’)

 

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