“Via dei ladri” di Mathias Énard

di / 19 marzo 2014

Altra cosa rispetto a Zona, il gran libro tradotto in italiano nel 2011, Via dei Ladri (Rizzoli, 2014), romanzo certo più maneggevole, rappresenta però un altro appuntamento considerevole con la scrittura di Mathias Énard. Se l’incipit è céliniano («Gli uomini sono cani, si strusciano fra loro nella miseria, si rotolano nella sporcizia e non sanno come uscirne, passano le giornate stesi nella polvere a leccarsi il pelo e il sesso, pronti a tutti per il pezzo di carne e l’osso marcio che qualcuno vorrà gettargli, e io sono come loro un essere umano quindi un rifiuto immondo schiavo degli istinti, un cane, un cane che morde quando ha paura e cerca le carezze») dopo qualche pagina la storia del giovane Lakhdar, marocchino di Tangeri che passa il tempo a guardare il mare col suo amico Bassam («con la faccia buona da bifolco»), pare adombrare un’obliqua, quasi sentimentale e amara amabilità. Ma ci si accorge presto che essa null’altro significa che un desiderio lancinante di vita in realtà destinato a frangersi sulle più assurde insensatezze del mondo, si tratti dell’Europa vagheggiata nel sogno erotico di una libertà inaudita, si tratti dell’Islam patriarcale in cui un padre, appunto, può riempire di botte un ragazzo come lui (e nel frattempo piangere per la vergogna) appena questi viene scoperto nudo con la cugina. Lakhdar da quel momento è costretto a lasciare la propria casa e ad arrangiarsi nella stessa Tangeri vendendo per conto di un tale che si fa chiamare  Sceicco – capo di un Gruppo Per La Diffusione Del Pensiero Coranico – libercoli a uso e consumo dei credenti musulmani: il più venduto, La sessualità nell’Islam.

Il Gruppo è agguerrito, il ragazzo molto meno. Ingenuo ma non troppo, apprende che i suoi datori di lavoro fanno il tifo per le rivolte arabe. Scopre che essi trovano nel fuoco incandescente che brucia il Maghreb il modo migliore per arrivare a «elezioni libere democratiche per prender il potere e poi […] islamizzare le costituzioni e le leggi» (cosa che peraltro molti media occidentali non hanno capito).

Lakhdar cerca di orientarsi, di capire cosa fare della propria vita, fino ad allargare lo spazio dei suoi vagabondaggi alla Spagna in cui alla fine decide di fuggire. Di sicurezze ne trova poche. Di occasioni ancor meno. Il lavoro è improbabile e ogni volta Lakhdar è costretto a ricominciare da zero. Gli tocca persino di avere a che fare con un infame che lucra sui morti annegati nelle tragiche imbarcate mediterranee per salvarsi dalla fame e dalla guerra. A parte il piacere dell’amore e quello per i romanzi gialli e i poeti arabi, ciò che vede intorno a lui è abbastanza indecifrabile. Nemmeno l’Europa è quella vagheggiata; l’aria è quella pessima che si respira negli anni della crisi. Il fatto che l’Occidente che riesce a frequentare sia per lo più quello delle suburre è persino marginale. Non ne intravede una migliore. Non vede speranze da nessuna parte, men che meno nelle rivoluzioni arabe su cui il potere islamico non smette di poggiare il proprio soffocante cappello. La violenza del mondo, quella sì. La vede e la subisce. Lo tenta, persino. Salvo comprendere che nella violenza «non c’è niente da spiegare». Non c’è nessuna strada, c’è solo il camminare.

(Mathias Énard Via dei Ladri, trad. di Yasmina Mélaouah, Rizzoli, 2014, pp. 300, euro 19)

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