“Io sono Red Baker” di Robert Ward

di / 25 marzo 2014

Sono partita alla volta di Venezia un venerdì sera di febbraio, caldeggiata dalla promessa di una presentazione vivace e una nuova collana da conoscere. Ammetto che due cose assai spassose del viaggio in treno dalla mia città natale sono state la bambina narratrice che guardava il mare con la madre che le diceva «quello specchio d’acqua è un lago serio» di fronte a una laguna piena di buio e ruvidi isolotti, l’anziano professore universitario che mi intrattiene spiegandomi da dove sia nato il ponte di Cavatrava e quando sia scaduto l’ambiente universitario patavino, per ovviare all’imbarazzo punto lo sguardo verso un giovane che mi indica deciso il percorso più agevole, ma non il più breve nel dedalo veneziano che mi porterà alla meta. Dentro di me scandisco un rapido sì al presente e mi avvio verso la libreria Marco Polo, non prima di aver accettato il biglietto da visita del signore.

La serata è dedicata alla collana I fuorilegge, un progetto editoriale che raccoglie titoli eccentrici rispetto al canone mainstream, voluta dal traduttore Nicola Manuppelli, Giorgia dal Bianco e Claudio dalla Pietà.

Come ha spiegato Nicola Manuppelli, il progetto mira a sciogliere i nodi di incomprensione dietro le vite degli autori americani osteggiati dalle case editrici commerciali, mettendo in risalto la visione non patinata e non ufficiale del sogno americano, con l’intenzione di creare un mosaico in movimento. Un’idea, che serve a colmare una lacuna a oggi ancora esistente in Italia.

Il libro che apre la collana è Io sono Red Baker (Barney Edizioni, 2014), di Robert Ward. Il romanzo prende in considerazione il periodo di forti dissesti economici a Baltimora (Maryland), che travolse i lavoratori dell’acciaieria dove lavora Red Baker. La trama è basata sull’estenuante senso di desolazione fra alcol e disperazione che portano il protagonista a macchiarsi di un crimine che cambierà il corso della sua vita. È delicata la descrizione delle immagini che accompagnano la relazione coniugale e il declassamento mortificante che va verso la disfatta. Red Baker, in cui molti lettori si sono riconosciuti, è animato da un instancabile istinto di sopravvivenza, una devozione sincera alla propria famiglia, e un consapevole affondo all’ingannevole logica dei valori societari. Dentro fino al collo, Red non riesce a comprendere la logica beatnik, né gli slogan hippie di vivere per il proprio presente, ma si abbandona a un gioco di sogni giovanili che sebbene non lo porti a perdere la dimensione della sua vita, gli dà il difficile compito di riempire un tempo vuoto e invaso dalla presenza industriale della città e dai suoi neon allettanti. Lo stile di Ward non ha effetti stucchevoli, restando legato a una prosa anti-accademica, libera da morali e che si rifà all’americana filosofia del proseguire sulla strada verso la propria missione, senza temere. Non è un lieto fine, ma quanto di più vicino possibile al lieto fine, un viaggio agli inferni con ritorno alla dignità senza tuttavia la presunzione del narratore di estrarre una visione di fede, una visione che comprenda una svolta salvifica, non c’è proprio nulla di salvifico in senso stretto.

L’incontro con l’autore è stato ricco di interessanti disgressioni, durante le quali l’autore ha ripercorso i dialoghi surreali coi suoi amici quando presentò il libro ad Harvard, l’ammirazione di Raymond Carver per aver scritto quella storia, l’incontro con editori insipienti e restii nel pubblicare storie di personaggi così poveri e depressi, la strategia fallimentare del primo agente, la sciagurata editor che propose un’intera riscrittura del romanzo in chiave ottimista, suggerendo di introdurre il matrimonio con una ricca proprietaria di un allevamento di cavalli, un percorso che Ward minimizza bene. E il fortunato incontro con la prima compagna di Jack Kerouac, che riconosce il merito e lo avvicinò alla Diaf House Press, una delle più valide case editrici newyorkesi, che consegnò il libro a un successo insperato.

Nella scrittura Ward travasa il proprio umorismo, la sensibilità per le storie che nascono da una situazione caotica e disperata, la ricerca per la tensione e il divertimento, insieme a una vena drammaturgica che annota sia l’accettazione del fallimento sia la furiosa ricerca di riscatti, dando prova di comprendere in maniera profonda lo spirito del suo protagonista, affidandogli la sfida di essere un americano raggiante in una periferia che lo sconforta. «Non c’è mai stata una storia a lieto fine a Baltimora, ma questo è più di quanto vicino a un lieto fine abbia mai sentito».

La forza d’animo che trasmette è catartica, non assolve il colpevole della battaglia di Red Baker, ed è questo il motivo di un simile successo. L’incisività, la possibilità di rivincita sono elementi che lo porteranno a esser uno dei capostipiti del New Journalism, guadagnandosi la stima di Tom Wolfe.


(Robert Ward, Io sono Red Baker, trad. di Nicola Manuppelli, Barney Edizioni, 2014, pp. 345, euro 16,50)

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