“La strada alla fine del mondo”
di Erin McKittric

Il racconto di un viaggio estremo, di un’esperienza unica, di una vittoria

di / 4 febbraio 2015

Prendo in mano La strada alla fine del mondo di Erin McKittrin e mi ritrovo, d’istinto, a pensare che sarà il solito racconto di letteratura di viaggio, l’ennesimo, ora che la narrativa di genere sta tornando in voga e le travel blogger spuntano come funghi. La copertina non mi attira, spenta e sin troppo rigorosa. Poi leggo Bollati Borighieri, che resta una garanzia in un panorama editoriale spesso invertebrato e dedito solo alle logiche di mercato, e già lo guardo con occhi diversi. Infine, leggo la quarta. Sono comunque scettica ma decido di leggerlo. E faccio bene.

Dentro ci trovo il racconto di un’esperienza unica, di un’impresa portentosa, di una vittoria. Trovo la trasposizione in pagina della ricerca di un senso in mezzo a questa contemporaneità talmente piena che alla fine, forse, è fatta quasi di nulla. Trovo, soprattutto, la volontà che si trasforma in azione. Ecco, immaginate di leggere azioni, non parole. La forza del libro è proprio questa concretezza, questa insoddisfazione che porta ad agire e che non rimane lamentela sfiancante. Come succede di rado, purtroppo. La protagonista, infatti, che è l’autrice stessa, Erin McKittrick, parte col suo compagno Hig per un viaggio epico che ha come obiettivo l’evasione più totale e completa dalla civiltà e il conseguente ripristino di quel legame primordiale e indissolubile tra Uomo e Natura. Che si va inevitabilmente logorando. Le nostre sono foreste d’asfalto e di luci accecanti, popolate da uomini piccoli e meschini, che cedono a innumerevoli necessità dettate da finti bisogni e che forse hanno scambiato la condivisione reale per quella virtuale, postando in bacheca l’ultimo piatto ingurgitato al ristorante o un selfie autocelebrativo. Il viaggio, l’avventura, la scoperta e il mettersi in gioco sono i mezzi utilizzati per lottare contro questo modus vivendi, la loro scelta (coraggiosa) per dare un significato nuovo alla loro esistenza. E il desiderio di ritrovare nella natura l’essenza più pura della propria anima non può non rimandare al romanzo di Jon Krakauer, Nelle terre estreme, che racconta la storia, anche questa vera, di Christopher McCandless, poi narrata da Sean Penn nel famosissimo film Into the Wild. L’Alaska è uno dei luoghi esplorati in entrambi i romanzi, ma Erin e Hig attraverseranno anche lo Stato di Washington e il Canada. A piedi, con il solo aiuto di sci e piccoli canotti gonfiabili. Immersi, come Christopher McCandless, dentro una natura che è insieme bellissima, amica, ma selvaggia e spaventosa. E sarete incollati alla pagina col fiato sospeso, a immaginare o a segnare sulla cartina, perché avrete voglia costantemente di cercare sulla carta questi luoghi, o a perdervi, semplicemente, tra le meravigliose foreste pluviali della Columbia Britannica, i ghiacciai del Canada, i vulcani innevati della penisola dell’Alaska, a sentire sulla pelle il vento feroce della Lost Coast e a godere dei colori vividi di un tramonto sul mare di Bering.

Un anno intero, da soli, in mezzo a luoghi inviolati e incontaminati, dove la sfida è quella, tutt’altro che semplice, di sopravvivere a ogni giorno nuovo. Qui niente è scontato o banale. Qui anche il tempo ha una dimensione nuova e scorre con un ritmo diverso. E ogni incontro con le popolazioni locali diventa una festa, così come quelli con balene, orsi, alci o leoni marini. E poi c’è l’amore tra i due, delicato, sincero, reale. Due innamorati che concepiranno un figlio durante questa avventura, valore aggiunto al viaggio, unico e ultimo senso possibile.

La trama non è ricca, né avvincente, non lascia spazio a colpi di scena nella sua linearità di fondo. Le pagine sono radiografiche, descrittive. Questo probabilmente è il punto debole del libro, ma del resto forse non poteva essere altrimenti. Quel che appassiona la lettura è lo stile piacevolmente intenso dell’autrice, evocativo e potente nelle descrizioni ma tecnico e puntuale: la McKittrick è una biologa e la sua competenza scientifica si evince tra le righe, legata a filo doppio alla sua capacità di raccontare. Un libro che sprona alla ricerca di una direzione, che necessariamente esorta a vivere il presente nel modo più pieno e consapevole possibile, mostrandoci che, per quanto crudele possa essere, è l’unica possibilità che abbiamo. Uno spunto di riflessione per tutto questo futuro che viviamo ogni giorno. Come un pungolo per coscienze addormentate.

(Erin McKittrin, La strada alla fine del mondo, trad. di Maddalena Togliani, Bollati Boringhieri, 2014, pp. 240, euro 16,50)

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LA CRITICA

Un viaggio estremo a ricordarci che la vera sfida è quella contro noi stessi. Il racconto di un’impresa portentosa, epica, suggellata da un linguaggio evocativo e potente. Una buona prova letteraria.

VOTO

7,5/10

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