“Sottomissione”
di Michel Houellebecq

Un romanzo visionario e realista insieme

di / 11 marzo 2015

Non servono pecore elettriche per invadere il nostro disordine.

Sì, d’accordo, ne abbiamo ingollate a dozzine. Per rimpolpare il programma scolastico, o magari per sciroppare il sonno, rincuorandoci al pensiero che quei giorni deformati morissero presto in mezzo a due pagine. Abbiamo imparato a chiamarle col nome appropriato, per mostrare più calli sul nostro glossario.

E le “distopie” hanno risposto a dovere: impigliate su carta o fluide di pellicola. E quasi sempre, in tutte quelle che hanno scolpito i nostri occhi, da Fahrenheit 451 a 1984, da Il signore delle mosche al manifesto cyberpunk Neuromante, quel “mondo possibile” ci sembrava improbabile, distorto al punto tale da essere ammiccante, come un incendio sotto vetro, da ammirare a distanza.

E invece no. Invece leggere porta a tradirsi, a sfatare la zona di confort. E così, scoperchiati e pestabili, abbiamo appreso che il male trasforma da dentro, che erode la smorfia del nostro vicino, un millimetro al giorno, fin quando quella tumida faccia è diventata altro pur restando la stessa.

 Sottomissione (Bompiani, 2015) di Michel Houellebecq ci squaderna agevolmente un’inquietudine facile, un futuro fin troppo normale che ci sentiamo già in braccio.

Nella Parigi del 2022 il partito della Fratellanza Musulmana impugna il potere.

E non attraverso un colpo di Stato o acrobazie terroristiche. Niente minacce, niente boati, nessuna stazione imbottita di scoppi. Semplicemente vincendo le elezioni. Nel ballottaggio con il Fronte Nazionale, conservatore estenuato di una Paese dismesso, i socialisti non possono far altro che appoggiare Mohammed Ben Abbes, stratega furbo e moderato. Un uomo che pilota i dibattiti con misura e maestria. Che sa sorridere e rinfrancare. Burattinaio mediatico e non profeta dell’odio. Perché tappezzarsi di mitra non sarebbe più utile. E lui lo sa benissimo.

In pochi mesi tutto si scompagina senza scomporsi affatto. E a narrarcelo è il protagonista: Francois, professore universitario esperto di Huysmans, disfatto e nevrotico come il suo tempo. Immerso nella sua girandola di dissertazioni letterarie, usate come metro per quantificare il valore umano e professionale, addiziona la giornate senza grandi occupazioni. Ha il microonde per amico e le chiacchiere in tv gli arredano la cena. Assiste alla vittoria dei Fratelli Musulmani, scivolando mollemente in un contesto sovvertito.

Qualche prima reazione, i media imbambolati, la sua ragazza ebrea costretta dalle circostanze a trapiantarsi a Tel Aviv, ma poi tutto confluisce nel vissuto. Ci si abitua a tutto senza scalciare, anche a ciò che ci indigna, a ciò che ci snatura. Ed è questa la sottomissione, la schiavitù in pantofole.

In fin dei conti l’Occidente ha fallito. Volendo dimostrare che la ragione bastasse, che svincolarsi da ogni credo irrobustisse le speranze, ha costruito un uomo liquido, occhieggiando a Bauman.

Una pancia bulimica e vuota, per cui non è sufficiente una sagra di shopping o una flebo di consensi sul proprio social network. Quella laica è una creatura sdrucciola, dissolta nei cocktail psichedelici della sua isteria; la libertà non l’ha riempita, le ha regalato deserti lisergici e armadi turgidi d’insicurezze. E non ci sono isole, non nella scienza e nemmeno nell’arte o nell’insegnamento. «Qualche lezione privata in cui mi ero impegnato con la speranza di migliorare il mio tenore di vita mi aveva convinto quasi subito di come la trasmissione del sapere fosse nella maggior parte dei casi impossibile; la diversità delle intelligenze, estrema; e che niente potesse sopprimere o anche solo attenuare tale ineguaglianza fondamentale».

Per questo, quando anche la tecnologia sembra appannarsi come risorsa, la religione può tornare ad essere un’àncora. E ancora una volta l’oppio dei popoli. Esemplare in questo lo scambio tra Francois e il rettore della Sorbona durante il loro primo colloquio.

Poco importa se nell’anelastica concezione dei Fratelli le donne non possano più frequentare alcun ateneo, se i negozi di “merce impura” come canottiere e minigonne siano costretti a chiudere. Poco importa se per insegnare occorra necessariamente convertirsi all’Islam, perché i cattolici non hanno ancora capito e gli atei sono troppo in errore per poter agire. Francois, mente brillante e spirito opaco, spento e frustrato come Michel Djerzinski de Le particelle elementari, intriso della disfatta di questa cultura, si lascia banalmente colonizzare, collassa come le civiltà perdenti descritte da Jared Diamond.

E tutto è talmente semplice da risultare spaventoso, oltre che deprimente.

Soprattutto perché il movente propulsivo del suo adeguamento è la sua patetica condizione affettiva.

Francois è un uomo solo, ecco tutto. Incapace di intelaiare dei veri rapporti. Il suo bacino d’utenza sessuale erano le sue studentesse, con cui poter esercitare il fascino di cattedra oltre che d’esame.

E in un mondo ripulito, disinfestato dalla presenza femminile, laddove anche le escort non sanno soddisfarlo con la premura che il suo cuore prosciugato intimamente invoca, cosa può esserci di meglio di qualche moglie destinata a stargli accanto senza altra pretesa? Una giovane per compiacere il corpo e una più adulta per sfamarlo con saggezza. Fino a quattro sono concesse in questo regno confortevole, dove un qualche carezza e un ottimo stipendio rabboniscono il dissenso.

Houellebecq edifica un sistema solido, di svolta credibile e quindi agghiacciante in un periodo come questo, strattonato dall’Isis e dalle sue baldanze. Un periodo dove la paura ci accompagna per la strada, mentre scendiamo le scale come canali di scolo verso la metro. Dove l’espressione “guerra di religione” non ci ricorda più solo le crociate o il sussidiario delle medie. Scaltro nel suo cinismo, punteggiato di un erotismo ruvido e stanco, Sottomissione è uscito proprio a ridosso del grande sdegno per la tragedia di Charlie Hebdo e per qualche settimana in libreria sembrava non esistesse altro. Ora che la mareggiata di clienti si è assopita e l’agenda setting proclama altre emergenze, forse è il caso di leggerlo per quello che è.

Profezia antiutopica o provocazione narrativa? L’ennesimo atto di un disincanto.

Ma Houellebecq almeno sa come raccontarcelo.

(Michel Houellebecq, Sottomissione, trad. di Vincenzo Vega, Bompiani, 2015, pp. 256, euro 17,50)

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LA CRITICA

La contro-utopia più richiesta del momento, dispiegata con cinica efficacia e un linguaggio raffinato, Houellebecq ci prospetta un futuro imminente e molto temibile. E vale sempre il tempo delle sue pagine.

VOTO

8/10

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effe

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