“Topkapi” di Eric Ambler
Il gran ritorno di un thriller d’annata
di Michele Lupo / 5 settembre 2016
«In fin dei conti, se non fossi stato arrestato dalla polizia turca sarei stato arrestato dalla polizia greca. Non avevo scelta: potevo fare solo come mi diceva lui, Harper. È successo tutto per colpa sua».
Già solo per questa voce meriterebbe di essere letto, Topkapi, romanzo di Eric Ambler, datato 1962, e ritradotto per Adelphi da Mariagrazia Gini (c’era stata un’edizione del 1990). La voce di un mentitore patologico e ruffiano come tanti ne abbiamo conosciuti in letteratura.
Ma qui siamo di fronte a un intrattenimento di alta qualità: Topkapi è un romanzo che tiene del thriller e della spy story – Ambler è stato uno dei maestri in materia – ma la quantità di cose che lo scrittore inglese riesce a mettere insieme appare davvero memorabile: prima ancora dell’intrico di peripezie, ricatti, rovesciamenti di prospettiva, godibilissima è la definizione dei personaggi implicati nell’avventura – specie il protagonista, un povero cristo abilissimo nell’arrangiarsi fregando il prossimo, specie gli sprovveduti turisti che si avventurano per Atene, fino a quando questo A.A. Simpson si trova dentro una storia più grande di lui. Una storia di ladri, polizie e controspionaggio, in cui l’uomo finisce per collaborare con la seconda.
La costruzione dei personaggi passa attraverso una prosa insieme asciutta e sontuosa, specie nei dialoghi, vera ossatura del libro. Spesso lunghi, articolati in un ritmo e una brillantezza senza posa, ci dicono caratteri e tratti psichici, ne fanno sentire paure e desideri, spesso giocando con tono impassibile sulle loro ambiguità, ma contribuiscono anche a fare la storia. Probabilmente un qualsiasi editore italiano oggi li riterrebbe eccessivi e troppo simili a una sceneggiatura – laddove rappresentano un esempio di scrittura drammaturgica di rara perizia: come ispirati da una matrice bellica improntata a una incrollabile eleganza. Certo, l’efficacia costante paga il pegno di un’omogeneità indifferente al singolo eloquio di ognuno, ma probabilmente ciò ebbe il suo peso allorché si decise di ispirarsi al romanzo di Ambler per un film che avrebbe poi avuto un discreto successo – ne firmò la regia Jules Dassin (e Ambler lavorò a lungo nell’ambiente del cinema).
I dialoghi sono scortati da una scarna quanto riuscita ambientazione, sospesa fra Grecia e Turchia (una Istanbul lontanissima da quella sciagurata di oggi, esotica senza smancerie – il libro conta più di mezzo secolo alle spalle), e percorrono la strada di una vicenda rocambolesca, segnata dalla paradossale seduttività di un protagonista repellente, laido quanto geniale (a suo modo spiritoso).
Senza giustapporre elementi narrativi estranei al racconto fatto in prima persona da Simpson, conosciamo anche il contesto politico dell’epoca – cui il disincantato narratore è idealmente indifferente. Forse si comporta con il lettore un po’ alla maniera furfantesca e paracula che ha tentato “in vita” con gli altri – ma, lo si diceva all’inizio, con la sua voce ti prende subito e non ti molla più.
(Eric Ambler, Topkapi, trad. di Mariagrazia Gini, Adelphi, 2016, pag. 241, euro 18)
LA CRITICA
Topkapi è un libro di alto intrattenimento, firmato da uno dei maestri del thriller, un Eric Ambler alle prese con una storia di spie e filibustieri che sono prima di tutto individui ricchi di sfumature e ambiguità psicologiche messe in scena con una formidabile arte del dialogo.
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