“Cleopatra va in prigione”
di Claudia Durastanti

Un triangolo scaleno nella periferia romana

di / 12 dicembre 2016

Copertina di Cleopatra va in prigione su Flanerí

Dopo due romanzi americani, Claudia Durastanti si trasferisce in Italia con Cleopatra va in prigione, pubblicato lo scorso settembre da minimum fax. Nata a Brooklyn, cresciuta in Italia, residente a Londra, Claudia Durastanti ha pubblicato nel 2010 Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra e nel 2013 A Chloe, per le ragioni sbagliate, entrambi con Marsilio.

Erano romanzi americani di ambientazione e di stile. Cleopatra va in prigione parte da premesse completamente diverse. Siamo a Roma, precisamente a Roma Est, per quella specificità geografica – e non solo – che negli ultimi anni è diventata necessaria per far capire di che Roma si sta parlando (Pasolini, ma anche Caligari, Lo chiamavano Jeeg Robot o i The Pills). Caterina ha trent’anni e un fidanzato, Aurelio, che va a trovare ogni giovedì in carcere a Rebibbia. Lo hanno arrestato con l’accusa di gestire una rete di spaccio e prostituzione nel night che aveva aperto con il socio Mario. Mario è scappato in Sud America e Aurelio è rimasto lì, a rodersi in carcere, convinto che qualcuno lo abbia incastrato. Caterina lo aspetta, ma nel frattempo ha iniziato a frequentare il poliziotto che lo ha messo dentro. E non sa cosa succederà quando Aurelio tornerà libero.

È una storia cruda ed essenziale, quella di Cleopatra va in prigione, fatta di personaggi e ambienti, di realtà e di vita che se non sono veri sono quanto meno verosimili.

Dopo la coralità dei primi romanzi, Durastanti è passata alla singolarità del punto di vista, anche se sdoppiato in una terza e prima persona che si alternano con i capitoli e senza una reale logica. Dopo la ricerca linguistica di Chloe, in Cleopatra c’è spazio solo per la semplicità.

Tutto passa attraverso Caterina, il suo corpo è il termometro del mondo intorno a lei. Perché Caterina, cresciuta come ballerina classica, conosce ogni suo muscolo e ogni reazione. A Caterina piace essere desiderata, si mette la gonna corta per andare a trovare Aurelio, anche se lui non può vederla, sotto il tavolo dei colloqui. Le piace sentire lo sguardo degli uomini addosso, quando cammina per strada come quando la necessità l’aveva portata a ballare nel night del suo ragazzo.

È attraverso Caterina che accade ogni cosa. Con una scrittura vicina all’essenziale, Durastanti ricostruisce i fatti che hanno portato al carcere un po’ alla volta, rivelandoli al lettore mano a mano che si avvicina il momento opposto della libertà. Tra una visita a Rebibbia e una giornata di lavoro nell’albergo sulla Tiburtina in cui è segretaria e factotum, Caterina riempie i suoi giorni senza capire cosa fare di se stessa una volta che Aurelio sarà libero, e lei con lui. Il legame che unisce i due ragazzi è una cosa che va al di là della ragione, «non si può chiamare amore. È una cosa che è sempre esistita». Stanno insieme da quando sono ragazzini, sono cresciuti insieme, sono destinati a essere insieme, nonostante le botte di Aurelio, nonostante il carcere, nonostante tutto.

Nessuno dei due è diplomato. Vivono in quella Roma periferica in cui si convive con la criminalità, piccola o grande che sia, in cui chiedono il pizzo «in bomber di camoscio sopra la polo». Il poliziotto arriva a turbare un equilibrio, forse, a creare un triangolo scaleno in cui Caterina occupa tutti i vertici.

Senza mai cercare la sensazione nel lettore, Claudia Durastanti ha (ri)creato un mondo chiuso nelle poco più di 120 pagine del suo romanzo. Non ci sono sentimenti o emozioni, sulla carta. C’è la storia di Caterina in tutta la sua quotidiana crudeltà, nella periferia vicina al degrado, nei lavori senza futuro, nelle persone che tirano cocaina per stirare i panni. E in mezzo a tutta questa umanità in rovina, Caterina si muove con la grazia della ballerina che è stata, senza perdere mai l’equilibrio.

(Claudia Durastanti, Cleopatra va in prigione, minimum fax, 2016, pp. 129, euro 15)
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LA CRITICA

La periferia romana, all’ombra del carcere di Rebibbia, è lo sfondo in cui Caterina vive il suo dilemma sentimentale e di vita. Claudia Durastanti riesce a ricreare un mondo di umanità in rovina con uno stile essenziale e lucido.

VOTO

7,5/10

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