“Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali” di Tim Burton
La peculiarità del diverso
di Andrea El Sabi / 13 dicembre 2016
Dopo Big Eyes, il biopic ispirato alla vera storia della pittrice Margaret Keane, Tim Burton torna al genere fantasy con Miss Peregrine – La Casa dei ragazzi speciali, tratto dall’omonimo romanzo di Ransom Riggs del 2011. Il regista di Edward Mani di Forbice e Alice in Wonderland porta sul grande schermo le avventure di un outsider adolescente, il giovane Jacob Portman, interpretato dal diciannovenne Asa Butterfield, già nel film di fantascienza Ender’s Game e nel commovente dramma sull’Olocausto Il Bambino con il pigiama a righe.
Non è un più un fanciullo Jacob, un timido ragazzo di periferia che lavora part-time in un supermercato della Florida. Un giorno riceve una chiamata di soccorso da suo nonno, Abraham “Abe” Portman, un ebreo polacco fuggito dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Jacob si precipita da lui per capire cosa sia successo, ma lo ritrova misteriosamente senza occhi e in agonia. Dopo la tragica morte, il giovane decide di seguire le ultime parole del nonno e parte per una piccola isola del Galles alla ricerca di un gruppo di orfani dal talento speciale che vive nella residenza di Miss Peregrine. Jacob tornerà a credere alle storie dei bambini che Abe gli raccontava prima di andare a letto e che, crescendo, pensava fossero solo frutto dell’immaginazione del nonno.
Tim Burton prova a costruire questa piccola opera di formazione insinuando nello spettatore la giusta dose di dubbio sulle costrizioni imposte dall’alto per condurlo alla riflessione sulla tolleranza del diverso, il tutto attraverso un rovesciamento del classico punto di vista. I bambini “speciali”, che come spettri di guerra si aggirano in una casa “tenuta in vita” dalla magia della loro guardiana (Eva Green), sembrano un incrocio tra gli X-Men e i protagonisti di quel Freaks risalente all’era pre-code di Hollywood. Sono proprio questi “mutanti” che non abusano mai dei loro poteri a riconoscere la presenza del “normale” Jacob e ad accettarlo durante una sequenza vagamente ispirata alla tavolata del film di Tod Browning. Il mondo da cui il giovane proviene è infatti per loro totalmente sconosciuto perché gli orfani sono intrappolati nel loop temporale che Miss Peregrine ha creato per proteggerli e che li costringe a rivivere per sempre lo stesso giorno, il 3 settembre 1943.
Se nella prima parte del film il regista di Big Fish riesce sapientemente a coniugare suspense e mistero con il coraggio e la voglia di riscatto di un ragazzo deciso a scoprire la verità e il mondo che lo circonda, in quella finale Burton perde palesemente il controllo. L’abuso di computer grafica e l’incessante susseguirsi di deus ex machina premiano l’azione a scapito della considerazione più profonda, arrivando persino a tediare lo spettatore, costretto a barcamenarsi tra paradossi temporali, spiegazioni didascaliche ed epifanie adolescenziali mal sviluppate. Non bastano i dialoghi ironici di un Samuel L. Jackson decisamente a suo agio nel ruolo del cattivo di turno per risollevare le sorti di una pellicola il cui punto più alto è solo quello raggiunto da Emma Bloom, la bambina “speciale” in grado di volare.
(Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, di Tim Burton, 2016, avventura, 127’)
LA CRITICA
Tim Burton entra di nuovo nel regno delle favole dark che hanno contribuito a renderlo famoso, ma ne esce con una storia che si esaurisce frettolosamente in un becero action movie, perdendo per strada tensione, pathos e quel tocco di grottesca genialità tipico dei suoi migliori film.
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