Storia di un abbraccio muto

A proposito di “Euforia” di Valeria Golino

di / 2 novembre 2018

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Euforia è il racconto di due vite antitetiche, lontane, all’apparenza incompatibili. Due vite che, nel momento in cui ci viene narrata la storia (un breve lasso di tempo di pochi giorni), sono costrette a sfiorarsi, a toccarsi. Ad assorbirsi reciprocamente.Matteo (Riccardo Scamarcio) è un giovane di successo, narcisista e dedito, in egual misura, al lavoro e alle distrazioni che cerca (e trova) forsennatamente. Ettore (Valerio Mastandrea) è suo fratello maggiore, il fratello “che non ce l’ha fatta perché non ha nemmeno provato a farcela”. Vive ancora in provincia, fa l’insegnante, ha un’amante più giovane e i suoi abiti sono ordinari così come è ordinaria (e priva di lampi) la sua espressione quando osserva inerme il suo matrimonio sfaldarsi sotto le macerie di gesti abituali, silenzi prolungati e lacrime trattenute. Ha un tumore al cervello, ma (almeno inizialmente) non lo sa.

«E’ una cosa da niente, si risolverà tutto in fretta, vedrai»

Quando Matteo scopre che Ettore è malato, decide di ospitarlo a casa sua, a Roma, per qualche giorno e, al contempo, decide di negare al fratello la verità, sminuendo e irridendo quel «piccolo tumore» perché tanto si sistemerà tutto, appunto. Lo fa per preservare Ettore, certo. Ma, probabilmente, lo fa anche per preservare se stesso, per sentirsi utile. Per espiare una colpa. La colpa di essere più ricco, più bello, più giovane del fratello.

E quando Matteo dice che si sistemerà tutto, spinto da un insensato entusiasmo (da una sconclusionata euforia) sembra quasi crederci davvero. «Si sistemerà tutto» ripete Matteo ad Ettore, alla cognata, a sua madre, al mondo intero. «Si sistemerà tutto».

Ed Ettore, poco a poco, sembra farsi travolgere dalla contagiosa vitalità di Matteo, fratello alieno, sceso da un altro Pianeta, cresciuto in un altro Universo. Ma Matteo non è Ettore, e Ettore non sarà mai Matteo, e la distanza che i due hanno provato a colmare, riaffiora prepotente quando si affrontano in un duello verbale che ha il retrogusto della resa dei conti.

Matteo accusa Ettore di essere un vigliacco, un uomo insignificante che non ha mai saputo rischiare. E Ettore controbatte sputando in faccia a Matteo frasi affilate come lame, nelle quali vengono messe in discussione le presunte buone intenzioni del fratello.

«Perché mi tieni qua con te? Per chi lo fai? Ancora ti devi far perdonare il fatto d’essere frocio?» E la voragine si riapre sotto i loro piedi. Un abisso che risucchia le paure (fino a quel momento celate goffamente) di Ettore e le frivolezze di Matteo.

«Ma quando muori?», urla disperato Matteo, oramai stanco di fingere, e di fingersi forte, nel momento probabilmente più ‘alto’ del film, quello che vede i due protagonisti naufragare verso l’ineluttabilità del destino.

Complici, nemici, rivali, confidenti, avversari. Matteo ed Ettore sono tutto questo. Due fratelli come tanti, che la vita (o le loro scelte) ha separato e poi ha ricongiunto nel momento più importante, più difficile. Nel momento della ‘verità’. Quella verità sottaciuta da Matteo, e tenuta a debita distanza  (per quanto possibile) da Ettore.

Euforia di Valeria Golino è, sopratutto, una storia d’amore e di paura di vivere, di morire e di dirsi «ti voglio bene»; una storia che non può non essere considerata ‘crepuscolare’ (d’altronde Matteo e Ettore sono come il giorno e la notte, e giorno e notte possono sfiorarsi e fondersi solo al momento del tramonto); una storia che racconta – senza svolazzi, fronzoli o virtuosismi di sorta – un qualcosa che sta finendo e che, paradossalmente, non finirà mai, come il sentimento sincero che i due fratelli esprimono in maniera così differente.

Nonostante i temi trattati dal film (malattia, disgregazione familiare, invidia sociale, omosessualità) siano la base portante di molte pellicole contemporanee, non si possono non apprezzare la delicatezza, lo sguardo acritico, la trasparenza e l’originalità con le quali la regista disvela i pensieri, i turbamenti e le contraddizioni dei suoi protagonisti, interpretati mirabilmente da un Riccardo Scamarcio ridondante e incontenibile (forse qui nella parte più totale e totalizzante della sua carriera) e da un Valerio Mastandrea asciutto come non mai.

Senza scivolare in facili “inviti al melodramma”, Euforia racconta con pulizia ed eleganza quasi documentaristiche un lungo addio.

Un addio che si risolve con un abbraccio muto.

Perché in quel momento, sotto quel cielo azzurrissimo, Matteo ed Ettore si stanno salutando per l’ultima volta. E le cose che dovevano dirsi oramai (e finalmente) si sono esaurite.

 

(Euforia, di Valeria Golino, 2018, drammatico, 115’)

 

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LA CRITICA

Al secondo film da regista dopo Miele, Valeria Golino conferma con Euforia la capacità di raccontare la paura della morte inzuppandola di vita appoggiandosi ai suoi interpreti, qui con un Riccardo Scamarcio al meglio delle sue possibilità.

VOTO

8/10

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