La vita attraverso i quadri

A proposito della raccolta di racconti “Illusioni”, publicata da D Editore

di / 15 novembre 2018

copertina “Illusioni”

D Editore è una casa editrice della provincia romana specializzata prevalentemente in saggistica per l’architettura. Ciò non toglie che negli ultimi anni si sia mossa con grande acume nei campi più disparati. Ci ha regalato, per esempio, il bello e proficuo Datacrazia: una silloge di interventi sull’uso dei big data – argomento che dovrebbe interessare tutti. E ancora, per la stessa collana, il manifesto della panarchia, bizzarra forma di governo e ufo della teoria politica. Ma la casa editrice non si muove solo nella saggistica, complice lo scrittore-curatore Valerio Valentini (che ha da poco pubblicato la raccolta Parlare non è un rimedio, un affresco dei nostri tempi di matrice carveriana, ma aggiornato all’era del precariato), non sono state poche le riscoperte di autori americani meno conosciuti in Italia. Nella collana “Strade maestre” è apparsa una riedizione con capitoli inediti di Il primo dio di Emanuel Carnevali e il classico della scrittura sudista I racconti del Mississippi, di Hamlin Garland. Le uscite della casa editrice si distinguono per particolarità e cura del dettaglio.

L’ultima uscita è Illusioni (2018), una raccolta di racconti in cui una dozzina di scrittori – alcuni dei quali abbastanza noti – prende le mosse della narrazione a partire da un quadro. Come scrive Emmanuele Pilia nell’introduzione: «All’origine dell’umanità vi sono due abilità che sono profondamente primordiali nel nostro più profondo essere: raccontare e disegnare», lo scopo del volume è ritrovare il legame fra azione e visione, fra parola e immagine, attraverso una complicazione formale che suscita riflessioni e domande: come creare un’opera d’arte da un’altra opera d’arte? Come restituire la realtà mediata da un’altra produzione umana, e dunque simbolica? In questo libro non siamo nel campo dell’ecfrasi, perché non vi è la semplice narrazione del quadro. Ogni autore, al contrario, sceglie di utilizzare l’oggetto quadro in maniera diversa: c’è chi lo utilizza come elemento narrativo, chi si ispira all’immaginario che esso evoca, chi ci costruisce sopra ragionamenti o metafore sull’atto della visione.

Un altro elemento interessante della raccolta è il modo in cui è stata composta. La scelta è frutto di un concorso sul magazine Reader for blind, ai partecipanti veniva chiesto di scrivere un racconto inerente un quadro, fra i cento a scelta. Ai sette vincitori si sono aggiunti i racconti dei cinque giudici, che hanno deciso di confrontarsi sullo stesso terreno di chi hanno dovuto giudicare, una decisione coraggiosa che fa loro onore. È interessante vedere come, almeno nei narratori più esperti, il tema dell’immagine risulti declinato secondo poetiche ben precise. Se uno scrittore cerebrale come Francesco D’Isa si ingegna nello scomporre l’atto della visione, riflettendo sul nesso fra realtà e linguaggio, all’altro capo dello spettro Paolo Zardi si lascia prendere da una narrazione materica, in cui il sesso è un prisma attraverso cui sviscerare i rapporti di coppia.

A mio parere il racconto più riuscito è quello di Demetrio Paolin, anche se definirlo “racconto” potrebbe essere riduttivo. In effetti si tratta di una vera e propria meditazione sul significato di scrivere: Paolin identifica nel Quadrato nero di Malevič la metafora dell’approccio dello scrittore alla realtà. Orchestrando un gioco di specchi fra l’io narrante, la figura dello scrittore e l’opera del suprematista, Paolin riesce a comporre un racconto pur continuando ad affermare di «non avere più voglia di scrivere». Insomma Paolin ci regala una sorta di colto gioco beckettiano, che però dell’esercizio non ha nulla, perché è mosso dalla bussola di un moralismo vivo, intransigente.

Solo un piccolo appunto va fatto ai curatori: sarebbe stato meglio esplicitare sin da subito i quadri su cui sono costruiti i racconti, perché a volte ci si perde nella narrazione senza riuscire a identificare il dato di partenza. Una mancanza che – per l’appassionato d’arte – potrebbe essere un punto di forza: giacché, di volta in volta, si aggiunge il piacere di indovinare a quale opera si sta facendo riferimento. Tuttavia questa nota metodologica non inficia il giudizio su di un libro che regala, a fianco del piacere della lettura, il più sottile gusto della riflessione. Per questo consigliamo, a chi è già amante della saggistica della casa editrice di Emmanuele Pilia, di buttarsi fra queste pagine, alla ricerca della propria opera preferita.

 

(AA. VV., Illusioni, D editore, 2018, 160 pagine, 9,90 euro)
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LA CRITICA

Una partitura di racconti che ci parla del nesso fra parola e immagine, attraverso un coro di voci variegate quanto esperte.

VOTO

7/10

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