La delicatezza dell’essere di passaggio

“Dove mi trovo”, il primo romanzo in italiano di Jhumpa Lahiri

di / 29 gennaio 2019

«Esiste un posto dove non siamo di passaggio? Disorientata, persa, sbalestrata, sballata, sbandata, scombussolata, smarrita, spaesata, spiantata, stranita: in questa parentela di termini mi ritrovo. Ecco la dimora, le parole che mi mettono al mondo».

È difficile definire Dove mi trovo (Guanda, 2018), libro di Jhumpa Lahiri, semplicemente come un romanzo. Quello che all’inizio appare come una serie di episodi brevi e autoconclusivi, marcati sempre dal luogo – fisico ma anche emotivo – in cui avvengono, che raccolgono i pensieri e le osservazioni di una donna senza nome, costruisce un passo alla volta una trama più ampia: un tratto della vita della protagonista, e i cambiamenti lievi, quasi impercettibili delle sue sensazioni e del suo rapporto con il mondo esterno, attraverso lo scorrere dei giorni e delle stagioni, che la portano lentamente verso il futuro.

Tutto ciò avviene però attraverso un cambio netto di prospettiva: la scrittrice sembra destrutturare la dimensione temporale in una dimensione spaziale, così che lo scorrere del tempo viene raccontato attraverso i luoghi in cui la vita accade, attraverso incontri, stimoli e illuminazioni fulminee, piccoli avvenimenti che ne costituiscono la parte più vera e profonda.

A emergere è la figura di una donna che vive sola, per caso ma anche per scelta, che con la solitudine viene a patti «come una disciplina, [che] cerca di perfezionare eppure ne patisce». Un personaggio dal passato nebuloso, sovrastato da una famiglia amata e odiata, mai del tutto perdonata, e con pochi affetti, quasi tutti descritti in termini di ciò che è stato, o che potrebbe semmai essere, ma poi non riesce a essere. E in realtà quasi niente nella sua vita è per davvero, se non la casa e la città, in cui ha sempre vissuto ma in cui sembra sentirsi comunque estranea – una città che, quando la descrive, ha l’aspetto e l’odore di Roma, fatta di quartieri che sono come paesi, di ville e cupole, sporca e con i sampietrini fatiscenti, in pezzi ma amatissima.

Dove mi trovo diventa così il racconto di uno sradicamento profondo, del sentire di non appartenere a nulla: descrivere la casa, il tra sé e sé, alla stregua di una piscina o di un museo, come luoghi in cui ci si trova, significa percepirsi come sempre in movimento, persino dentro la propria pelle. La malinconia che ne scaturisce distacca la protagonista da ogni cosa e le permette di accettare che, come noi, anche le persone che incontriamo siano solo di passaggio: che ci siano solo per qualche giorno – incrociate in un agosto solitario o attraversando la strada – altre volte per qualche mese o anno, ma mai destinate a restare Quella stessa malinconia le fa percepire la vita in modo lancinante, nelle sue piccole gioie e nei suoi regali inaspettati – il contatto con l’acqua, elemento rigenerante che copre senza affogare, o un’alba vista dalla terrazza di casa, uno spettacolo quotidiano che stringe il cuore – così come nei piccoli fastidi, nelle sofferenze e nei timori.

Dove mi trovo è un libro di una delicatezza e finezza rara, il primo vero romanzo scritto in italiano da Jhumpa Lahiri, scrittrice di madrelingua inglese che sembra aver trovato nella nostra lingua una sorta di patria interiore, che le consente di accedere a profondità più scure, ad altre verità. Luoghi, in ogni caso, in cui vale la pena di lasciarsi guidare e perdersi.

 

 

(Jhumpa Lahiri, Dove mi trovo, Guanda, 2018, pp. 163, € 15.00)
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LA CRITICA

La vita di una donna sempre in movimento, raccontata con rara finezza attraverso i luoghi fisici e mentali in cui si trova.

VOTO

8,5/10

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