“L’esclusa”, gli esclusi

di / 12 aprile 2019

Copertina di L'esclusa di Luigi Pirandello

Siamo nell’ultimo decennio dell’Ottocento, quando ormai sono state poste le basi, anche in Italia, di una società di massa che decollerà, nei primi anni del Novecento. Sono anni di grandi cambiamenti socio-politici, del potere della sinistra storica e della nascita del Partito socialista italiano nel 1892. Questi mutamenti influenzano, naturalmente, anche il mondo degli intellettuali del tempo che acquisiscono come termine di riferimento per le proprie opere la nuova realtà economica e sociale. È questo, in parte, lo scenario su cui stagliano tutte le vicende di L’esclusa di Luigi Pirandello.

Scritto nel 1893 e originariamente titolato Marta Ajala, il romanzo d’esordio di Pirandello affronta un percorso lungo quasi un trentennio prima di giungere all’edizione definitiva del 1927.

La vicenda narrata ruota intorno alla figura della giovane Marta: costei è scacciata dal marito, Rocco Pentàgora, con l’accusa di adulterio dovuto a uno scambio epistolare con l’avvocato Gregorio Alvignani. La condanna nei confronti della protagonista è unanime: la comunità intera la giudica colpevole. Marta, nonostante il peso del pubblico diniego e il successivo dissesto economico della sua famiglia, afferma con forza la propria innocenza.

Tutto ciò avviene in un piccolo paese della provincia siciliana. Nell’opera tuttavia vi è un’alternanza di luoghi (paese/Palermo, Palermo/paese) che segue un percorso parabolico pari a quello psicologico di Marta; un viaggio, fisico e introspettivo, che si rivela fallimentare e che potrebbe essere definito un sentiero obbligato anche per altri personaggi, che siano o non siano deuteragonisti. L’acme di questa parabola viene raggiunta a Palermo, da qui, pian piano, si va incontro a una lenta e inesorabile discesa-ritorno sia della protagonista, che di tutta la storia, sino al punto di partenza, lì dove è avvenuto il non-tradimento: il piccolo paese di provincia nel quale viene “ristabilito l’ordine”.

Perché parlare di un testo che ha più d’un secolo di vita? Si tratta di un’opera estremamente attuale. La parabola fallimentare di Marta, nel suo percorso verso l’emancipazione lavorativa e sessuale, in una società, quella della Sicilia di fine Ottocento, fortemente arretrata e patriarcale, le trappole della vita (convenzioni sociali e familiari) e l’incomunicabilità umana, tematiche care a l’autore, sono tutti elementi riscontrabili nella letteratura contemporanea e nella nostra quotidianità.

Presupponendo che debba tutto essere sagacemente contestualizzato, è incontrovertibile il fatto che Pirandello sia stato il capostipite di quella nostra letteratura che ha dato voce alla crisi umana quale conseguenza dell’industrializzazione di fine Ottocento, sviluppando la teoria della frantumazione dell’io, attraverso i suoi personaggi.

Nei suoi scritti, analizza un mondo in cui decade l’idea di una realtà oggettiva, univocamente interpretabile con gli schemi della ragione. Anche oggi, con maggior vigore, si può parlare di relativismo gnoseologico in relazione alla condizione degli individui. Alla crisi dell’io otto-novecentesca si aggiungono nuovi elementi: l’essere perennemente connessi in una rete virtuale, ha, se si vuole, ulteriormente approfondito la cognizione del dolore dell’uomo. Soli, indifesi, costretti, per sopravvivere, all’autoinganno, più che mai gli uomini 2.0 sembrano incapaci di utilizzare la filosofia del lontano, riscontrabile, se pur embrionalmente, già in L’esclusa.

In poche parole l’atarassia consigliata da Pirandello è una chimera o nel peggiore dei casi si è trasformata in un pericoloso individualismo. Tutto ciò è definibile come specchio di una società che si sgretola, individuabile in tanti altri romanzi contemporanei, spaziando in vari ambiti geografici: da Il cardellino di Donna Tartt, a Lionel Asbo di Martin Amis, dalle Correzioni di Jonathan Franzen a Cecità di José Saramago. Il parallelismo tra tutti questi testi, con quello di L’esclusa, con l’obiettivo di cercare di analizzare e interpretare la realtà sociale, non appare forzato, se, come già posto in evidenza, tutto viene esplicato anche storicamente. La società di Marta e la nostra sono mondi in crisi, entrambi in frantumi. E questa è una sorta di prova di come il disfacimento umano sia ciclico.

Forse, solo la riflessività, umoristicamente intesa, può spingere l’uomo oltre il baratro delle crisi ritornanti della sua esistenza.

 

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