Che fine ha fatto la democrazia sociale

“Progettare l’uguaglianza”, a cura di M. Gambilonghi e A. Tedde

di / 25 febbraio 2021

Copertina di Progettare l'uguaglianza

Va detto subito che leggere Progettare l’uguaglianza nell’Italia di inizio 2021 potrebbe suscitare sconforto e frustrazione, negli animi politicamente più sensibili. Il titolo, infatti, non allude a un’alternativa possibile, a una ricetta contro l’aumento delle disuguaglianze che imperversa da cinquant’anni ed è divenuto dirompente in seguito alla pandemia di Covid-19. Quello tracciato nel volume curato da Mattia Gambilonghi e Alessandro Tedde (Mimesis, 2020) è invece un bilancio, o addirittura un primo tentativo di genealogia, dell’esperienza storica della democrazia sociale, che è quanto di più vicino a una società degli uguali abbia prodotto l’umanità su questo pianeta.

Chi, nel pantano postdemocratico in cui si è arenata la politica italiana, ancora si ostina a coltivare l’ottimismo della volontà – e chi cerca rifugio da un dibattito pubblico che tra un elogio della “competenza” e un Osanna ai nuovi re taumaturghi ha espulso ogni pur minimo richiamo all’idea di giustizia sociale – potrà comunque trovare in questa raccolta di saggi una formidabile fonte d’ispirazione.

Che cosa sono, innanzitutto, le democrazie sociali? Fra le prime e sperimentali risposte fornite dai paesi europei e occidentali alla crisi del 1929 e la metà dei Settanta, questa particolare forma di organizzazione politica e economica delle società capitalistiche è stata in grado di assicurare livelli di uguaglianza e tassi di partecipazione politica mai visti in precedenza. E che non abbiamo più visto neanche in seguito, perché se c’è un significato nel concetto passepartout di neoliberismo (o neoliberalismo, come preferiscono gli autori del libro) è proprio questo: il ridimensionamento della democrazia sociale. Una triste parabola di cui, indulgendo in semplificazioni precluse agli autori accademici, potremmo individuare due punti particolarmente significativi dal punto di vista simbolico: il celebre, citatissimo, rapporto della Trilateral Commission del 1975, che attribuiva le difficoltà economiche degli anni Settanta a un «eccesso di democrazia», e le parole di un Mario Draghi d’annata, pronunciate nel 2012 a commento della crisi greca, secondo cui «Il modello sociale europeo è ormai superato».

Naturalmente, il concetto di democrazia sociale ha numerose affinità con quello di Stato sociale, purché quest’ultimo – spiega Gambilonghi – non sia inteso in una prospettiva riduttiva ed economicistica, come semplice somma di politiche pubbliche volte ad assicurare erogazioni di sussidi e servizi per i cittadini, ma piuttosto come una vera e propria forma politica. Una forma politica inedita e innovativa, che s’innesta nel tronco delle istituzioni liberali sorte dalla Rivoluzione francese, ma le rinnova mostrando un’autonoma e originale razionalità interna, dando reale concretezza ai principi di libertà, uguaglianza e solidarietà. Un’idea di Stato e democrazia impressa nelle “costituzione materiale” delle società occidentali (ma anche, nero su bianco, in molte Carte costituzionali, su tutte quella italiana), e che segna una discontinuità rispetto alla precedente esperienza dello Stato liberale di diritto, da un lato attribuendo ai poteri pubblici una funzione decisiva per il ciclo economico (non solo in termini redistributivi, ma anche di investimento diretto), dall’altro imponendo nel sistema di mercato, a cui lo Stato partecipa in prima persona, una logica non mercantile (un principio di equità, potremmo dire).

Il libro ha il pregio di adottare uno sguardo storico profondo e originale sull’elaborazione teorica che ispira le diverse fasi (i «momenti») e direttrici di sviluppo (i «percorsi») della democrazia sociale già prima dei suoi «gloriosi» trent’anni del secondo dopoguerra. Nella rassegna di casi storici in cui «progettare l’uguaglianza» si è rivelato possibile o almeno concepibile, incontriamo dunque saggi preziosi sulla Francia del movimento solidarista di fine Ottocento, che trova nel grande sociologo Emile Durkheim uno straordinario punto di riferimento, valido ancora oggi contro le miserie dell’utilitarismo e del laissez-faire; sulla Repubblica di Weimar nella Germania del primo dopoguerra, che prima di veder calare le tenebre del nazismo indaga fervidamente la possibilità di riconciliare democrazia politica e democrazia economica; sul «planismo» e il «corporatismo democratico» attraverso cui, negli anni Trenta, le correnti più eretiche e innovative del movimento operaio e socialista della Francia intendono rifondare lo Stato facendo del lavoro organizzato la sua base politica e morale.

Ma è soprattutto sul saggio dedicato da Alessio Francesco Olivieri alla figura e al pensiero del dirigente socialista e padre costituente Lelio Basso, che si sofferma la nostra attenzione. Basso si interrogò lungamente sul modo in cui cui fare della Costituzione sorta dalla Resistenza (di cui scrisse quell’esemplare concentrato di democrazia sociale che l’articolo 3) non una semplice stabilizzazione della riconquistata democrazia, ma uno «Stato costituzionale del lavoro», uno strumento dinamico e progressivo di trasformazione sociale. «La democrazia» sosteneva «comincia a diventare una cosa seria soltanto quando ciascuno è messo in grado di esercitare una stessa porzione di influenza reale sulla vita pubblica, cioè quando il popolo, accanto alla libertà giuridica, realizza anche a libertà dal bisogno, dalla paura e dall’ignoranza».

Ma già all’inizio degli anni Settanta, e con notevole preveggenza, Basso si accorse che il vento della storia stava cambiando: «Elemento caratteristico della presente situazione mi sembra essere il passaggio dai capitalismi nazionali all’internazionalizzazione del capitale. […] Ciò comporta che i centri di decisione da cui dipende la nostra vita quotidiana si spostino sempre più lontano, […] senza possibilità di interferire in queste decisioni che ci riguardano da vicino». Si udivano insomma i primi scricchiolii, nella convivenza forzata tra capitalismo e democrazia; e oggi che il divorzio si è compiuto non occorrono studi approfonditi per accorgersi dello stato comatoso in cui versa quest’ultima.

In Progettare l’uguaglianza la ricostruzione delle riflessioni di Basso su sovranità popolare e democrazia sociale si unisce  ad altre esperienze intellettuali e di lotta sindacale e politica nel proporre una nuova relazione virtuosa tra classe e nazione, tra patria e socialismo, un’ipotesi di comunità nazionale le cui basi siano integralmente politiche, e per questa ragione antitetica a quella, dalle venature etno-razziali, dei fascismi e dei nazismi.

Solo mettendo a fuoco i pilastri dell’articolata e multiforme costruzione dello Stato sociale possiamo comprendere le ragioni del suo declino e la natura delle trasformazioni successive, su cui si concentrano i saggi della sezione finale del volume. In particolare, gli autori si soffermano su alcuni «slittamenti» intervenuti nel discorso pubblico e nei sistemi politici con l’egemonia neoliberale. Per esempio il passaggio dalla figura del lavoratore a quella del povero, quale punto di riferimento delle politiche sociali, non più chiamate a combattere le disuguaglianze prodotte dalle logiche di mercato, ma ad evitare solo le forme più odiose di povertà ed emarginazione sociale. O ancora, il passaggio dall’idea di governo – che malgrado i suoi limiti gerarchici, è comunque il potenziale soggetto di un’azione redistributiva e regolativa ispirata all’interesse generale – al paradigma della governance, che dietro una retorica «orizzontalista» e partecipativa pone i soggetti sociali gli uni di fronte agli altri a prescindere dal loro differente potere sociale: nell’assenza di qualsiasi istanza politica superiore si afferma la legge del più forte.

Rilanciare le democrazie sociali quali forme politiche per una convivenza civile più egualitaria è un compito immane, talvolta persino inimmaginabile: il libro curato da Gambilonghi e Tedde fornisce materiali indispensabili per affrontare con consapevolezza questa sfida epocale, che la crisi pandemica ripropone più urgente che mai.

 

(Mattia Gambilonghi e Alessandro Tedde, a cura di, Progettare l’uguaglianza. Momenti e percorsi della democrazia sociale, prefazione di Mario Barcellona, postfazione di Michele Carducci, Mimesis, Milano-Udine 2020, 385 pp., euro 25, articolo di Paolo Ortelli)

 

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