Memoriale d’amore universale
Su “Promesse” di Bryan Washington
di Alberto Paolo Palumbo / 21 settembre 2021
Negli ultimi anni è diventata sempre più frequente la pubblicazione di romanzi che riguardano comunità di minoranze, caratterizzati da un respiro universale. Ne sono esempi Storia di Shuggie Bain di Douglas Stuart, vincitore del Booker Prize nel 2020, Brevemente risplendiamo sulla terra di Ocean Vuong e Una vita vera di Brandon Taylor.
Non è da meno Promesse (NNEditore, 2021), primo romanzo dell’afroamericano Bryan Washington tradotto da Emanuele Giammarco, editore di Racconti Edizioni, che l’anno scorso ha pubblicato Lot, raccolta dell’autore originario del Kentucky e fra i libri dell’anno del 2019 dell’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
Ambientato fra gli Stati Uniti e il Giappone, di preciso fra Houston e Osaka, il romanzo di Washington ha per protagonisti una coppia di ragazzi omosessuali: Benson, afroamericano e insegnante d’asilo, e Michael, asiatico-americano e cuoco di professione. Il rapporto fra i due è costituito da alti e bassi, ma viene messo in discussione nel momento in cui Mike dovrà lasciare gli Stati Uniti per andare in Giappone dal padre Eiju, malato di cancro al pancreas. La partenza del ragazzo sarà l’occasione per la coppia di riconsiderare il proprio amore, ma soprattutto per venire a patti con sé stessi, col passato e con le rispettive famiglie.
A una prima lettura, Promesse sembra raccontare una storia molto personale. Alcuni elementi del personaggio di Benson sono infatti autobiografici: così come l’autore, anche Ben è afroamericano e omosessuale, e ha vissuto in Texas, fra Katy e Houston. In realtà però, come annunciato dalla citazione in esergo di Bye bye vitamine! di Rachel Khong – «Tutti, penso, parlano sempre e comunque della stessa merda» –, Bryan Washington pone riflessioni che vanno oltre l’aspetto individuale. Questo è evidente soprattutto in considerazione della prospettiva adottata dall’autore. Il romanzo è narrato in prima persona ed è suddiviso in tre capitoli che alternano il punto di vista di Ben con quello di Mike, a riprova dell’idea che la situazione vissuta dal primo è condivisa da più persone.
I due protagonisti sono coinvolti in dinamiche in cui tutti si possono riconoscere. Entrambi provengono da famiglie disfunzionali – con padri alle prese con problemi d’alcol e la paura delle responsabilità familiari – e vivono come estranei la realtà che li circonda. Mike affermerà infatti che fra lui e gli avventori del bar di suo padre Eiju «c’era un grado di separazione, una sorta di muro che spuntava dal nulla, perché ero uno di loro, anche se no, non lo ero, e non lo sarei mai stato, ed era così che andavano le cose», mentre Ben rinfaccerà ai suoi genitori – che «fanno finta che non sia gay. Per loro è più semplice di quello che sembra» – di esser stato abbandonato da tutti loro appena saputo della sua sieropositività.
Mike e Ben però si troveranno a confrontarsi con i concetti universali di perdono e di cambiamento. Entrambi dovranno riconsiderare il loro legame con i genitori, specie con i loro padri, con i quali hanno avuto un rapporto burrascoso, ma che nel corso della storia riusciranno a ricostituire. «Solo perché qualcosa non funziona», sostiene Mike, «non significa che sia rotto. Devi avere voglia di aggiustarlo. Ci deve essere la volontà». Riallacciando i contatti con i propri genitori, i protagonisti impareranno a perdonarli, poiché «amare una persona significa lasciare che cambi quando ne ha bisogno. E lasciare che se ne vada quando ne ha bisogno. […] Ma questo non sminuisce l’amore che provi. Semplicemente cambia forma». Mike e Ben comprendono che, per continuare ad amare le proprie famiglie, i loro padri hanno dovuto accettare la necessità del cambiamento e lasciare andare un amore giunto alla fine in modo tale da ridefinire i loro legami familiari.
L’amore è dunque destinato a cambiare come ogni esperienza umana, ma resta nei ricordi di chi lo vive. Osservando una foto di lui e il padre in California, Mike realizza che «ci portiamo i nostri ricordi ovunque andiamo, e tutto ciò che resta sono quelli che rimangono nei paraggi, ed è così che ci facciamo una vita». In questo senso è da intendersi il titolo originale del romanzo, Memorial: il memoriale non solo come monumento commemorativo fisico – quello di Studemont, al centro di una delle scene finali del romanzo –, ma anche, in senso metaforico, come collezione dei ricordi di un amore che continuerà a esserci anche nella lontananza e nella difficoltà. Le fotografie, gli appunti di Eiju, i messaggi del cellulare e i ricordi del passato di Mike e Ben sono la testimonianza di un amore che continuerà a vivere cambiando forma come condizione per rinnovarsi.
Oltre che un romanzo, si può definire Promesse un memoriale d’amore universale. Un monumento all’amore in tutte le sue forme, che si manifesta in ogni gesto e silenzio, che sa perdonare, si rinnova nei ricordi e resiste nonostante le difficoltà, le distanze e il cambiamento. Bryan Washington, che con questo romanzo si conferma promessa della nuova letteratura statunitense, ha saputo raccontare l’amore con grande delicatezza dando voce all’animo umano con tutti i suoi silenzi e non detti.
(Bryan Washington, Promesse, trad. di Emanuele Giammarco, NNEditore, 2021, 352 pp., euro 19, articolo di Alberto Paolo Palumbo)
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