Ritorno alla finzione
22 anni dopo il mondo di Matrix ha ancora qualcosa da dire?
di Francesco Vannutelli / 14 gennaio 2022
È un film strano, Matrix Resurrections, che avrebbe potuto avere il potenziale per fare la storia come il primo film della serie, ma che invece si perde tra due pulsioni opposte. Nel tornare alla serie che le ha dato la celebrità, la adesso Lana Wachowski, senza il supporto della sorella Lily, ha provato a forzare le regole di Hollywood, ma non ha voluto spingersi troppo in fondo.
Matrix Resurrections riparte da zero rispetto a quanto visto nella trilogia di Matrix che tra il 1999 e il 2003 ha cambiato l’immaginario collettivo. Neo, morto nell’ultimo film, Revolutions, è vivo nel mondo di simulazione di nuovo sotto le sembianze di Thomas Anderson. Non ha memoria del suo passato, almeno non una memoria cosciente. Ha però sviluppato una trilogia di videogiochi di enorme successo – Matrix appunto – che raccontano le avventure che ha vissuto, e ora su pressione della Warner Bros. è al lavoro su un quarto titolo, a distanza di vent’anni. C’è qualcosa però che non va nella sua vita. Tra tentativi di suicidio e un’irresistibile attrazione per Tiffany, una donna che incontra ogni giorno al bar Simulatte, sente crescere la consapevolezza che c’è un passato da scoprire.
Se si potesse dividere Matrix Resurrections in due parti avremo una prima metà che è un’interessantissima riflessione sul cinema contemporaneo e le sue dinamiche. Qui Wachowski ha voluto dare libero sfogo alle proprie riflessioni sulla trilogia e sul condizionamento che il successo commerciale ha avuto sul suo sviluppo. Il primo Matrix si era imposto all’attenzione della critica e del pubblico con intuizioni narrative e visive uniche. I due film successivi erano stati nettamente al di sotto dell’originale. La dimensione anche filosofica del primo titolo, soprattutto sul rapporto uomo-macchina, lascia spazio ad azione, esplosioni e combattimenti, forse allontanandosi per motivi commerciali dalle intenzioni delle due autrici.
In Resurrections Lana Wachowski sembra approfittare del film per mettere in scena le proprie difficoltà nel tornare a Matrix. Questa prima parte in cui Keanu Reeves interpreta Thomas Anderson è un trionfo di riferimenti metatestuali all’industria cinematografica e al concetto di sequel. La regista sembra voler demolire il valore iconico del primo film, come a rivendicare una propria libertà di autrice al di fuori della gabbia dorata del successo di Matrix. Quindi via con la distruzione dei simboli, a partire dal bullet time che contribuì a fare del film un fenomeno di massa, ora sostituito da una semplice imposizione delle mani.
Il problema di Matrix Resurrections è che questa interessante presa di posizione di Wachoski si scontra con lo sviluppo del film. Parliamo comunque di un blockbuster, e le regole del mercato prevalgono sempre sulle eventuali velleità d’autore. La seconda ipotetica metà del film è quindi un continuo strizzare l’occhio al pubblico con apparizioni di vecchi personaggi, combattimenti e calchi di vecchie scene.
La spinta metacinematografica che fa partire Resurrections si esaurisce presto per lasciare spazio alla preoccupazione di come conquistare nuovi spettatori. Largo quindi a personaggi giovani, con tratti distintivi riconoscibili e pop – Morpheus ora tutto colorato, o il capitano Bugs –, per eventuali seguiti o spin-off. Largo all’amore in tutte le sue forme. Dopo aver spiazzato il pubblico con qualcosa di inatteso, Wachowski sembra tornare sui propri passi per non scontentare nessuno.
Il risultato, inevitabile, è un film che non è né una vera e propria provocazione, ma solo un sequel confuso che non riesce a replicare la potenza e la pulizia del primo, inarrivabile, film.
(Matrix Resurrections, di Lana Wachowski, 2021, fantascienza, 148’)
LA CRITICA
Matrix Resurrections parte come interessante riflessione metacinematografica sullo stato di salute dell’industria cinematografica per perdere presto la strada in un’operazione a metà tra nostalgia e provocazione.
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