“Lezioni di fotografia” di Luigi Ghirri

di / 18 febbraio 2011

Le Lezioni di fotografia (Quodlibet, 2010) è un libro indispensabile per gli amanti della fotografia. Il volume, che si presenta in un’ottima veste grafica (curato nei minimi particolari da una delle realtà editoriali italiane più interessanti da tanti punti di vista), è uno di quei testi da tenere sempre sul comodino anche solo per leggerne una parte.
Luigi Ghiri, oltre ad essere uno dei maggiori fotografi nostrani, è stato un ottimo docente capace di mescolare competenza, esperienza, passione e bagaglio culturale.
Le lezioni, che sono tutte a cavallo tra il 1989 e il 1990, non appaiono mai anacronistiche, anzi, in tempi di fotografia digitale, offre spunti incredibili per i possibili slanci che oggi e nel prossimo futuro potremo raggiungere.

L’idea alla base del testo (fortemente voluto dai curatori Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro) è stata quella, nel ri-trascrivere le lezioni, di mantenere la colloquialità, la leggerezza e la forza comunicativa; qualità che Ghirri esprimeva negli incontri con gli allievi presso l’Università del Progetto di Reggio Emilia.
Il tono “fresco” del volume permette anche al lettore meno preparato di approcciarsi senza difficoltà insormontabili e di “lasciarsi andare” trovandosi di fronte non uno sproloquio accademico bensì il “flusso di coscienza” di un artista a 360° gradi che crede ancora, e giustamente, che l’opera d’arte debba contenere in sé una base teorica.

Il modello che vuole proporre si scontra con una certa schiera di fotografi e artisti contemporanei che non credono al bisogno di un bagaglio di conoscenze inattaccabile.
Sono molti infatti gli aspetti “tecnici” e “meccanici” (varie forme di illuminazione, strumenti, macchine fotografiche, obiettivi) ma anche le riflessioni teoriche e i “racconti” frutto dell’esperienza.
Ne esce fuori uno spirito di ricerca capace di spostare l’interesse alternativamente verso il passato e verso il futuro ma che deve poggiarsi su fondamenta ben solide: “attivare lo sguardo e cominciare a scoprire nella realtà cose che prima non si vedevano, anche dando agli oggetti, agli elementi della realtà un altro significato. Attivare un campo di attenzione diverso”.

Come afferma Luigi Celati “a Reggio Emilia Luigi non insegnava la foto come arte separata dal resto, ma come appartenente ad un alfabeto dove si collegano varie abitudini del vedere, e in cui riconosciamo un mondo abitabile”; ed è per questo, forse, che ho amato particolarmente, in questo libro, il capitolo-sezione “Immagini per musica”, in cui Ghirri parla di alcuni suoi lavori per etichette musicali. Scivolano via i dischi della nostra mente, ricordiamo copertine (gli storici CCCP di Giovanni Lindo Ferretti, Lucio Dalla con Gianni Morandi, Luca Carboni e persino i “Notturni” di Chopin suonati da Artur Rubinstein) e le fissiamo in mente, proviamo a dare un nome a quelle fotografie, lo inventiamo perché così deve andare, proviamo a dargli un autore ma ora lo sappiamo e forse iniziamo a credere che lo abbiamo sempre saputo.
 

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