“Poesie” di Emily Dickinson

di / 11 febbraio 2013

È già difficile di per sé parlare della poesia di Emily Dickinson, per molti madre indiscussa della lirica moderna e contemporanea. Ancora più arduo è contestualizzarla attraverso la voce registrata di un’attrice. Che poi si tratti di Giovanna Mezzogiorno (la cui bravura è pari alla bellezza) poco importa. Ma questi versi, che scivolano via come gocce d’acqua sulla nostra pelle, sui nostri pensieri, sono la letteratura moderna e contemporanea, sono il passaggio dall’uomo di ieri a quello di oggi.

Sì, fa effetto vederli, sentirli, incastrati in qualcosa che non è libro, che non è l’avorio della carta o l’odore di stampato. Ma c’è qualcosa in questo oggetto che ho tra le mani (l’audiolibro edito dalla Emons, primo per quanto riguarda la poesia) che riconduce all’essenza primordiale del verso, a quando la magia era data dal ritmo, dalla musica, dal distacco tra un mittente, lontano dalla quotidianità del mondo, e un destinatario, avaro del piacere di ascoltare. Ed è meraviglioso fermarsi a sentire senza né fermarsi né sentire. Guidando la macchina, o scrivendo. Persino mangiando o leggendo versi di altri. La voce ti entra dall’orecchio, ma è allo stomaco che arriva subito. Non te ne accorgi: versi che conoscevi ma non ricordavi ti arrivano alla bocca, si sussurrano senza volerlo; quelli che sapevi a memoria ti vien voglia di riscriverli su carta, come per non perderne le pause; quelli sconosciuti (e, ahimè sono molti, troppi) si sovrappongono ai pensieri e ne modificano l’andamento, per sottrazione e addizioni di immagini. Giovanna Mezzogiorno è brava perché riesce a tenere intatta, in tutta la lettura, una trasposizione profondamente terrena, un andamento che si riflette in se stesso, avvicinando e allontanando tutte le correlazioni verso l’esterno.

Il percorso poetico di Emily Dickinson, dagli esordi alla maturità, viene sciolinato con paziente voracità ed esce fuori in tutta la sua forza poetica rendendo un giusto tributo alla divina autrice americana e, permettetemi di aggiungere, alla sopraffina traduzione di Silvia Bre, poetessa italiana troppo spesso dimenticata.

Ascolto come lettura, emerge tutto quello che deve emergere: 104 poesie su una produzione di 1750 testi sono la giusta selezione per non perdere alcuna delle sue digressioni enfatiche. Il ritmo salmodiante rimane intatto, così come le rime asimmetriche, l’aristocratica austerità, le molteplici voci e le elaborate e complesse (ben intesi, non complicate) metafore che sono la decodificazione, da parte dell’autrice, del quotidiano e di un tempo, il nostro, che ci mette, sempre di più, di fronte a noi stessi.

Emily Dickinson ènata nel 1830 ad Amherst, Massachusetts; nel corso della sua vita scrisse 1775 poesie ma ne pubblicò sette. Solo dopo la morte, avvenuta nel 1886, cominciarono a essere pubblicati gli inediti che furono poi raccolti in un’edizione complessiva nel 1955. Per il ritmo, la musicalità e il tono austero dei suoi versi, è considerata uno dei massimi poeti di ogni tempo.

(Emily Dickinson, Poesie, letto da Giovanna Mezzogiorno, regia di Flavia Gentili, Emons, 2012, 51 min, euro 14,90) 

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