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Libri

Mengele - L’angelo della morte in Sudamerica

di Andrea Viviani / 4 giugno

Lo stile giornalistico, la cronaca, dovrebbero mitigarlo, l’orrore: non cede, questo volume, alla usa retorica delle descrizioni dettagliate; non indugia nella coniugazione delle sofferenze né declina i casi del patimento inflitto da questo mostro, che nemmeno merita maiuscola, alle vittime innocenti della sua ferocia. Fa peggio, però, questo stile distaccato. Fa peggio, e molto, Camarasa, ed è più utile assai: ascrive l’orrore a sistema. Sistema di pensiero, d’apparato. Di radici culturali (buon Dio, e che cultura… quanta Accademia, quanta Sapienza fatta brutalità!) che hanno motivato, permesso, aiutato, concretato la follia. Non d’uno, ma di molti. Benvoluti in Patria, cullati fuori. Protetti, lì, in terra d’esodo, dalla stima dei simili, d’etnia e censo, e dalla convenienza connivente degli affini. Impunito, Mengele. In fuga, sì, ma con l’aiuto di chi non t’aspetteresti. Mai. E fa male scoprirlo. Ti obbliga, questo libro, pur non chiedendotelo mai, a rivedere le linee di demarcazione che hai tracciato tra bene e male. Chi gioca in quale squadra non lo sai dopo averlo letto, più con la stessa granitica certezza. I perché sfumano, le motivazioni si confondono, ragion di stato e affari s’affratellano in una sola luce, la stessa da quando l’uomo è Storia: la pelle degli ultimi, i soli sconfitti. I veri caduti di ogni conflitto, bellico o d’ideologia. Ti chiedi come sia possibile che le cose raccontate tra quelle pagine siano accadute. E lo sono: lo sono davvero, è documentato. È noto. E non sono collocate in un remoto passato da cineforum o DVD, uniche testimonianze dell’orrore che hai, se non settantenne, conosciuto tu. Sono state ieri. Ieri. Sono da collocare a ieri. Questo libro abbatte diaframmi, polverizza schermi. Nella sua lucida scansione temporale e consequenziale t’impedisce di cullarti sui facili allori degli schemi preconfezionati. Mostro? Mostri il suo maestro e tutti i suoi finanziatori. Mostri tutti i dipendenti e dirigenti degli istituti in cui s’è formato e ha potuto esperire. Mostri i compatrioti esuli e feroci nella difesa non scalfita del primato ariano. Mostri i governi (minuscoli!) collusi, paghi di tecnologie e denari nazisti. Troppi, troppi “non è giusto” da gestire in una lettura sola. Lo sgomento, erediti alla lettura. Lo sgomento. E t’accompagna, a lungo. Con un tormento, un punzone costante: “Che avrei fatto, io?!”. Geniale lo spunto narrativo: troppi gemelli in un sol luogo, in quelle terre immense: ci fosse lo zampino del mostro, sterminatore/induttore di gemelli in quel famigerato punto di dolore di Polonia? Solo falsamente irriguardoso, poi, l’accostamento alle vacche che d’improvviso al passaggio del latitante sfornano doppi vitelli: non erano forse bestie, agli occhi suoi, le vittime dei folli esperimenti? Ma la narrazione è sfondo. Il tema è altro, potente, terribile: l’ovvietà del male. La banalità delle sue collusioni ancora, meschinamente, d’interesse. Tanto può l’uomo. Anche l’uomo di scienza, anche il genio. Perché tale era il Dottore, e come lui geni gli altri aguzzini (molti citati, nel volume, e dai destini intersecati in quel continente di fuga e, ahinoi, per i piùbuen ritiro). E anche gli industriali, e i latifondisti. E gli imprenditori, e tutta quella schiatta di terribili infami (grazie, Roma, che mi soccorri nell’insulto liberatorio!) incredibilmente sopravvissuti allo stesso orrore che li ha generati. Qualcuno ha pagato, ma chi? I meno astuti? I meno utili? Quelli “graziati” dalla minore volontà dei cacciatori di giustizia? Questo l’altro atroce dubbio (non appalesato, ma insinuato) tra le pagine  e le righe. Magistralmente, dolentemente, lasciato irrisolto.