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“Lo spleen di Mompracem” di Filippo Sottile

di Giulio Giandoso / 30 settembre

Se a 11 anni mi avessero detto che un giorno avrei desiderato la morte di Sandokan non ci avrei creduto. Ma a quanto pare la realtà supera l'immaginazione, e di brutto. All'età in cui si legge Salgari (per favore, l'accento va sulla seconda “a”, Salgàri era veronese e non palermitano, rima con Cestàri, Munàri e quella sorta) è difficile cogliere il fascino di Yanez de Gomera, il baffuto rinnegato portoghese.

Anche lui è protagonista di mille avventure: si sposa una gran bella gnocca e diventa re, e quando gli soffiano il regno monta un casino incredibile e lo riconquista con l'aiuto dei suoi amici. Ma Sandokan, la Tigre della Malesia, rimane indiscusso protagonista, con il suo selvaggio charme e i suoi modi principeschi. Ebbene, se ci vuole un genio per uccidere i miti, allora Sottile è un genio.

Solo un genio potrebbe descrivere Sandokan sbronzo e fumato duro mentre ingozza il suo fagiano domestico, che coccola la sua tigre impagliata scrivendo poesie in memoria della sua amata Marianna, dove «ti amo forte» rima con «ti amo veramente forte forte». Solo un genio potrebbe descrivere una Mompracem dove gli ex-pirati rinnegano la violenza nel nome dell'arteterapia e usano ogni mezzo per esprimere se stessi: la pittura, il teatro, la poesia.

Va da sé che il risultato è esilarante. Per tutti tranne che per il povero Yanez, che manda giù tanta bile da soffocare, bestemmiando come un vero pirata (o come qualsiasi contadino toscano). E sfido chiunque a non bestemmiare, alla vista dell'ennesimo compagno di mille avventure, due metri di pirata assetato di sangue, che prepara la prima del suo spettacolo e sbraita versi colmi di passione “con l'entusiasmo di chi vende il pesce”avviluppato in un bellissimo abito color albicocca. Da donna.

La grande assente, in puro stile salgariano, è infatti la donna. Marianna raramente apre bocca, ma diventa velocemente una piratessa di tre cotte. Invece qui donne proprio non se ne vedono, anche se a quanto pare il travestitismo dilaga. Mentre invece nel racconto di Yanez (altra grandissima prova tecnica dell'autore, un racconto in un racconto in un racconto, in puro stile Inception) le donne sono tutte delle zoccole manipolatrici, tranne una, che si sente altamente presa in giro e alla fine si ribella. Proprio come Yanez.

Yanez non può non ribellarsi, perché Yanez ci rappresenta, incollati al nostro scranno impiegatizio e sballottati qua e là tra la spesa, la suocera e la cena col fornitore, quando ritorniamo a casa e troviamo nostra moglie nella posizione del loto, che ci dice “respira a fondo e svuota la mente, OMMMM”. Logico che ne scaturisca rabbia omicida e turpiloquio: Yanez siamo noi, o almeno Yanez sono io, “Yanez de Gomera c'est moi”. Yanez è chiunque in fondo in fondo si sia rotto di queste minchiate newage e vorrebbe invece risolvere il proprio conflitto interiore come facevano una volta: spaccando qualche testa e arrostendo un maiale selvatico sulla spiaggia, gomito a gomito coi suoi amici, bevendo fino al mattino. Tutto il resto è noia. All'arrembaggio tigrotti, all'arrembaggio.

Consigliato a: il vostro bambino interiore, i mariti di ceramiste, chi odia i giochi di ruolo aziendali. Voto: 7/8