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“Calderón”
di Pier Paolo Pasolini

«Perché di tutti i sogni che hai fatto o che farai / si può dire che potrebbero essere anche realtà»

di Roberta Biondi / 5 maggio

Calderón. Inferno, in friulano. Una parola che da sola potrebbe bastare a evocare l’atmosfera dell’opera pasoliniana. Ispirato a La vita è sogno, dramma in versi di Pedro Calderón de la Barca, Calderón è il testo teatrale più maturo di Pasolini, e l’unico pubblicato quando l’autore era ancora in vita.

Un viaggio nelle molteplici esistenze di Rosaura attraverso tre sogni che come in un collage o una giustapposizione di visioni oniriche ci trasporta in tre contesti sociali diametralmente opposti: l’aristocrazia, il proletariato, la medioborghesia. Rosaura è una ragazzina cresciuta a Madrid in una famiglia filofranchista, poi una prostituta del sottoproletariato di Barcellona, e infine una madre piccolo-borghese affetta da disturbi del linguaggio. E sarà proprio lei a rivelarci, nel monologo finale, la trappola della propria condizione sociale, dalla quale è impossibile sfuggire. I molteplici personaggi del dramma si uniscono infatti sotto un’unica definizione: quella di borghesia, una borghesia alla quale l’opera parla direttamente, come attraverso uno specchio al quale viene messa davanti, ironicamente, per vedere il proprio dramma esistenziale in tutta la sua crudezza. E la disillusione e la rassegnazione legate al fallimento personale, sociale e politico non ci abbandonano per un attimo.

Tiezzi sceglie di non sfoltire il testo, e per quanto sia impossibile rinunciare anche solo a una piccola parte di esso, ne deriva in alcuni momenti un parziale rallentamento del ritmo, che però viene ampiamente mitigato dalla continuità narrativa mantenuta fino all’ultimo, dalla sorpresa, dalla forza e dalla disperazione.

Il profondo senso d’inquietudine che pervade l’intero spettacolo è rafforzato in primis dalla componente sonora (troviamo le musiche composte da Angelo Badalamenti per Mulholland Drive, uno degli elementi che contribuiscono a dare allo spettacolo un tocco lynchiano), dai movimenti al ralenti dei personaggi, quasi alienati nell’entrare e uscire dalla scena, fino ad arrivare alla scenografia: inizialmente spartana, opprimente, si apre poi in un ventaglio di luci al neon, geometrie e scritte che, esplicitamente didascaliche, sortiscono un effetto di ulteriore straniamento.

La ricchezza e il valore estetico dei costumi quanto della scenografia fanno da perfetto contrappunto alla forte presenza scenica e a una recitazione che, per quanto spesso risulti eccessiva nel perseguimento di un effetto di astrazione, è densa e ritmata.

Mettere in scena un capolavoro non è un’impresa facile, ma Federico Tiezzi riesce a tirare fuori dal testo di Calderón uno spettacolo di rara intensità, capace di esplorare in profondità la complessità dell’opera pasoliniana.

 

Calderón

di Pier Paolo Pasolini
regia Federico Tiezzi
drammaturgia di Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi
con (in ordine di apparizione)
Sandro Lombardi, Camilla Semino Favro, Arianna Di Stefano
Sabrina Scuccimarra, Graziano Piazza, Silvia Pernarella, Ivan Alovisio
Lucrezia Guidone, Josafat Vagni, Andrea Volpetti, Debora Zuin
e con la partecipazione straordinaria di Francesca Benedetti
scene Gregorio Zurla
costumi Giovanna Buzzi e Lisa Rufini
luci Gianni Pollini
movimenti coreografici Raffaella Giordano
canto Francesca Della Monica
assistente alla regia Giovanni Scandella

Prossime date:
Roma –  Teatro Argentina, dal 20 aprile all’8 maggio 2016

LA CRITICA - VOTO 8/10

Un’opera complessa, multiforme e attuale che esprime con estrema densità la forza della poetica di Pasolini.