Flanerí

Libri

“Se avessero”
di Vittorio Sermonti

Nella cinquina dello Strega, un romanzo autobiografico possente e complesso

di Cristiana Saporito / 7 luglio

C’è un vortice. Un occhio a spirale venato di marmo che ingolla nel gorgo tutto lo sguardo. Fino al nucleo notturno della pupilla. La copertina di Se avessero (Garzanti, 2016) di Vittorio Sermonti, tra i cinque finalisti del Premio Strega di quest’anno, è una vertigine di scala a chiocciola, una conchiglia di ringhiera che rappresenta al meglio il ventre del racconto. Un mulinello di forze in cui si sale e si scende nei pianerottoli della memoria.

A prima vista un modulo ucronico. Cosa sarebbe successo, si chiede l’autore, se avessero sparato a suo fratello, FM, il frater maximus, rincasato dopo la guerra e incappato in tre partigiani col mitra molto attento sullo stomaco? Quello non era un momento qualunque, era una fase spartiacque, un lembo di Storia allo sbando nel maggio spossato del ’45. FM è un nemico, con la zavorra fascista sulle spalle, una fresca militanza nella Repubblica Sociale e tutto il corrente costante pericolo di vedersi morire dentro uno sparo. Ma ciò non avviene, i tre non agiscono, i tre si congedano perché non conviene, perché sono uomini che inalano pietà e in quello scarto di eventi sfumati confluisce la slavina dei ricordi.

Quell’istante sottratto all’appello dell’accaduto è un giro di chiave per accedere a tutto quello che invece è successo, rotolando tra i giorni di Vittorio. E il romanzo si snocciola come un memoir, un rovistare vorace nei quartieri adolescenti.

Vittorio è un ragazzo di quindici anni, contornato da una famiglia abbondante di nove persone impreziosita dal «privilegiato ceppo» di un nonno avvocato penalista «che è stato il primo lui a farsi uscire di bocca la parola “mafia” per l’occasione d’un celebre processo chiamato Notarbartolo».

Aveva tre piani di casa a Roma Vittorio, ma la guerra ha sparigliato i destini di ognuno di loro, pressandoli in un’avara abitazione milanese in zona Fiera che impiega cinque pagine a descrivere con il computo accorto di tutte le porte. Ed è avvezzo a rinunciare, si abitua con naturalezza a viversi ristretto, a ritagliarsi «il lusso di aver perso qualsiasi lusso e di verificare che non ci fai nessuna malattia, come un vero principe ereditario quando si trova fatta la Repubblica».

L’Italia ondeggia, l’Italia è spazzata in quell’anno finale d’orrore e tutti quei milioni di cittadini asserviti e sedicenti fascisti si sfaldano al sole di nuovi obiettivi.

Che fare? Resistere o fuggire? Partire o cambiare partito? Vittorio intanto s’innamora, di una ragazza deliziosa confinata a Como, si dibatte, si amareggia per non averla mai abbastanza, per crogiolarsi col fantasma del suo rossetto vicino alla bocca.

Piovono storie di amici, come Groucho e Saverio, di teatro, di letture, di musica e di sport che hanno condito, rammendato, intarsiato i pensieri di Vittorio.

La lingua è meticcia, zuppa di turbamenti giovanili e di bordi di autentica maestria. È un flusso imponente di coscienza a ritroso. Si fa fatica spesso ad arrivare al capolinea, nella girandola potente d’incidentali concentriche e illusioni dismesse di Sermonti, e anche per questo si respirano densi il senso e il volume espressivo di uno scrittore eclettico, critico, dantista, intellettuale tondo e ancora fresco dei suoi 86 anni.

Sono tempi editoriali di memoir importanti, dall’oceanico La mia battaglia di Karl Ove Knausgård, a Mi chiamavano piccolo fallimento di Gary Shteyngart fino a Le serenate del Ciclone di Romana Petri e al di là dell’esito del Premio, quello che si annuncia come «opera ultima» dell’autore è un atto letterario di valore effettivo, capace di restituire l’orma del singolo calpestata da milioni di altri passi. Eppure sempre unica. Eppure ancora viva.

 

(Vittorio Sermonti, Se avessero, Garzanti, 2016, pp. 224, euro 18)

LA CRITICA - VOTO 8/10

Nella cinquina dello Strega, un romanzo autobiografico possente e complesso, capace, tra sconnessi strati di memoria, di raccontare un dopoguerra sterminato e la crescita di un grande scrittore.