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Libri

“Il nostro male viene da più lontano”
di Alain Badiou

Trovare un’alternativa al capitalismo mentre il tempo stringe

di Gabriele Sabatini / 26 aprile

Ripartiamo dagli attentati al Bataclan. Sembra passato un secolo, tanti sono stati gli eventi terroristici che li hanno succeduti, eppure è trascorso appena un anno e mezzo. Dalle domande che quegli episodi pongono, un pensatore come Alain Badiou prende spunto per un denso ragionamento attorno alla società contemporanea, pubblicato nelle Vele Einaudi con il titolo Il nostro male viene da più lontano (Einaudi, 2017).

È la trascrizione di un seminario tenuto dal filosofo francese pochi giorni dopo le stragi del teatro parigino, valida non già a comprendere quegli eventi specifici, ma i processi culturali, politici ed emotivi che hanno portato – e portano – alcuni giovani disgraziati a commettere efferate e barbare azioni. Ma se di barbarie si tratta, l’invito dell’autore è alla riflessione, e a farlo statistiche alla mano (nella società capitalistica sembra che nessun discorso possa essere preso sul serio se non si parte dal dato numerico).

Ebbene, secondo Badiou, per ogni nemico colpito da un bombardamento effettuato con i droni vengono uccisi circa dieci civili: è facile il calcolo, eliminare cento nemici significa che mille civili vengono massacrati inutilmente: «Semplicemente, nel primo caso di barbarie, la barbarie dei barbari [quella degli attentati], abbiamo un omicidio di massa rivendicato e suicida. Nel caso della barbarie dei popoli civili, è un assassinio di massa tecnologico, dissimulato e compiuto».

Questo bisogna saperlo. Non per definire uno scontro di civiltà e decidere da che parte stare, ma per capire quanto anche l’Occidente sia barbaro tutti i giorni, solo che non se ne accorge.

Però qui da noi si gode di un diffuso benessere, di una speranza di vita come non s’è mai vista nel corso della storia, di diritti che ci rendono liberi. Occidente come modello, se non perfetto, quanto meno migliore possibile. Opporre queste argomentazioni a Badiou avrebbe senso, ma la risposta dell’autore è piuttosto chiara: per cominciare si deve partire dalla costatazione che quotidianamente viene erosa quella riserva di diritti di cui ci facciamo vanto, e con ciò si attenua la speranza di un futuro migliore; poi, ancora una volta, ausilio della filosofia sono i numeri: il 10% della popolazione mondiale possiede l’86% delle risorse disponibili (una proporzione da Ancien Régime); metà della popolazione mondiale non possiede nulla; rimane un esiguo 14% delle risorse, che è appannaggio dalla classe media, ossia circa il 40% della popolazione: «Uno degli scopi più importanti di questo gruppo [è] quello di non essere associato, identificato, con l’immensa massa indigente. Il che è del tutto comprensibile. Ecco perché questa classe, presa nel suo insieme, è permeabile al razzismo, alla xenofobia, al disprezzo della gente povera». Ed ecco perché tollera che si pratichi in diverse aree geografiche la zonizzazione, concetto portante della descrizione del mondo proposta da Badiou.

L’idea è semplice: non potendo più permettersi di mantenere uno stato coloniale, con tutto ciò che quello comporterebbe in termini di organizzazione, leggi, rapporto con la madrepatria, riflessi sulla società civile, l’Occidente distrugge interi Stati (come la Siria, l’Iraq, la Libia, ma in anni recenti la ex-Jugoslavia). Nel caos che ne consegue, «vigerà una semianarchia» che consentirà lo sviluppo di affari e interessi delle aziende occidentali «anche meglio di prima».

Ecco il terrorismo dei paesi sviluppati. Ecco dunque che in un mondo globalizzato e interconnesso, in cui però esiste un solo schema, quello del capitalismo che fraziona la popolazione nelle percentuali sopra descritte, il miraggio di una esistenza come quella occidentale, irraggiungibile per molti, genera violenza.

Si arriva così al punto: chi sono gli attentatori del Bataclan? Sono ragazzi per i quali la propria vita non conta, e non conta perché nel mondo capitalistico se non si ha pieno accesso a uno stile di vita occidentale non si riesce a far parte di chi controlla il 14% delle risorse, e perciò non ci si placa. Se non si entra a pieno titolo in quel gruppo, o vi si rimane per lungo tempo ai margini, si avverte profondamente lo sconcerto di essere inglobati nella massa di miliardi di persone che nulla controlla, e che pertanto nulla vale. Si è quindi disposti a sacrificarsi, perché se la propria vita non conta allora non deve contare nemmeno quella degli altri: «Alla base di questo massacro c’è davvero il nichilismo. Alla fine, si va a distruggere la propria vita con un eroismo ridicolo e artificiale quanto criminale. Credo che si debba chiamarlo un omicidio di massa orribile nel quale, cosa non meno orribile, l’assassino include se stesso. Si tratta di una forma criminale suicida che porta al culmine l’istinto di morte. Non esiste più nulla, né vittime, né assassini. […] Finché una proposta strategica altra non le sarà fatta, questa gioventù resterà in un sostanziale disorientamento. Il capitalismo è una macchina per disorientare i soggetti, non appena non si rassegnano a rientrare semplicemente nella vacuità del binomio consumatore/lavoratore dipendente».

 

(Alain Badiou, Il nostro male viene da più lontano, trad. di Stefania Ricciardi, Einaudi, 2016, pp. 76, euro 12)

LA CRITICA - VOTO 8/10

Agile, densissimo saggio che tocca problemi gravissimi della società contemporanea. Un invito a riflettere sul terrore intorno a noi, e a cercare una alternativa al capitalismo per il bene di tutti.