Flanerí

Cinema

Inseguendo un gol

"Notti magiche" di Virzì è un’occasione sprecata

di Francesco Vannutelli / 23 novembre

Dopo l’esordio nel cinema statunitense con il drammatico Ella & John, che avrebbe meritato maggior fortuna per i suoi due straordinari interpreti, Paolo Virzì torna in Italia cercando il conforto e il confronto con le sue origini con Notti magiche. Un film che è, soprattutto, una grande operazione nostalgia verso il cinema italiano in uno dei suoi momenti di maggior declino, quei primi anni Novanta in cui le vecchie glorie si avviavano al tramonto e i nomi nuovi iniziavano lentamente ad affacciarsi.

È il luglio del 1990, mentre l’Italia esce in semifinale contro l’Argentina nel Mondiale di calcio, un’auto sbanda, si impenna e finisce dentro al Tevere. Al suo interno viene trovato, privo di vita, Leandro Saponaro, produttore cinematografico senza patente e con molti debiti e nemici. Vengono convocati in questura tre giovani sceneggiatori arrivati a Roma alcune settimane prima come finalisti del premio Solinas, uno dei più importanti riconoscimenti per le promesse della sceneggiatura (è un premio reale che ha aperto le strade del cinema a tanti, tipo Paolo Sorrentino). Catapultati nel mondo dei cinematografari romani, i tre ragazzi si sono ritrovati coinvolti, in vario grado, nei mille giri di Saponaro per trovare i mezzi per trasformare in film il copione vincitore.

Se non ci avesse voluto infilare a tutti i costi l’omicidio e la cornice di indagine, Notti magiche sarebbe stato un omaggio al tramonto del grande cinema italiano carico di tenerezza. Tornando indietro nel tempo a un momento di passaggio e di grande ricambio, Virzì è riuscito a ricostruire un ambiente e un calore che aveva conosciuto da giovane. È impossibile non sentire un respiro autobiografico che unisce i tre protagonisti a Virzì e ai suoi due co-sceneggiatori Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, giovani ma non giovanissimi in quell’estate del ’90 e comunque alle prese con i primi passi delle loro carriere.

In una Roma abitata da gente di cinema che si muove veloce per il centro, passando da un ristorante a una terrazza, che macina pagine e pagine di copioni per la tv, per il grande schermo, i tre ragazzi si muovono con l’entusiasmo degli esploratori tra sceneggiatori demotivati, grandi registi dimenticati, sognando un cinema d’autore che non esiste più e provando ad accontentarsi di un cinema commerciale che sta battendo gli ultimi colpi.

Se fosse per la semplice ricostruzione del mondo cinematografico, Notti bianche si guarderebbe con il sorriso del cinefilo compiaciuto che coglie le persone dietro i personaggi, gli omaggi dietro le esagerazioni, i ricordi nella rappresentazione.

L’improbabile pretesa di infilare il tutto nella cornice generale dell’omicidio finisce per banalizzare soprattutto la parte finale, precipitata e ingenua, così come è stereotipata e abusata la rappresentazione bohémienne della gioventù cinematografica. Non supportato da un cast di richiamo, con alcuni vecchi nomi come Giancarlo Giannini nei ruoli secondari, Notti magiche non trova nei suoi tre giovani protagonisti quella spinta di carisma necessaria alla svolta. Solo Giovanni Toscano, alter ego di Virzì, riesce a rompere la gabbia della macchietta che tiene rinchiusi i suoi due compagni di set, ma è comunque troppo poco.

Con Il capitale umano, Paolo Virzì aveva dimostrato di padroneggiare  registri diversi. Con La pazza gioia aveva confermato la tenerezza che lo lega ai suoi personaggi . Da quei due film le cose non sono andate più andate altrettanto bene. Ci sarà il prossimo film per riprendersi.

 

(Notti magiche, di Paolo Virzì, 2018, commedia, 125’)

 

LA CRITICA - VOTO 5/10

Omaggio al cinema italiano nella sua fase di tramonto di inizia anni Novanta, Notti magiche consegna agli spettatori un Virzì poco convinto, incapace di trovare un equilibrio tra tutti i registri che vuole proporre.