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Libri

Come s’impara a morire raccogliendo dati

“Censimento” di Jesse Ball

di Cristiana Saporito / 7 gennaio

I nomi spesso aiutano. Stringono cose in un laccio di voce. Chiamare qualcuno si crede possa risvegliarlo per intero, solleticando anche i millimetri invisibili. Così tanto che per esempio anche Elias Canetti si chiede se sia possibile postulare un mondo innominato. Un fogliame indistinto di volti e oggetti dentro cui non resta che sbracciarsi ammutoliti. Pilotati dagli odori come intima sostanza. Quando poi si tratta di storie, un protagonista con un nome addosso sembra ancora più incarnato, più afferrabile, spuntato da trifoglio nel bel mezzo di un salotto.

Il romanzo di Jesse Ball sfida ciascuna di queste leggi implicite. Censimento (NN Editore, 2018) si snoda tutto in un Paese ignoto, forse un’America truccata da nazione X, in cui un anziano dottore in pensione si avvia assieme a suo figlio verso un viaggio che malgrado tutto, conserva sempre un sapore inconoscibile. Entrambi non hanno un suono proprio associato alla faccia, non sapremo mai come e se qualcuno abbia amato farli voltare pizzicandoli fino all’ultima corda.

Però sappiamo altro. Sappiamo che il padre non ha molti giorni seminati davanti. Il cuore è affannato, si accascia facilmente e quello che sta per affrontare è di certo lo sforzo finale. Sappiamo che è rimasto vedovo, di una donna e del personaggio a lei allegato. Sua moglie era un clown, ben lontana dagli stilemi imparruccati che quella professione potrebbe fecondare. Sua moglie analizzava la gente, la inchiodava a silenzi allungati, lasciando germinare ogni tipo di reazione. Molto spesso la fuga. Lui non scappò. Lui rimase accalappiato e scelse di sposarla. E di renderla madre.

Sappiamo che hanno avuto un solo figlio. Un figlio down. Imbarcato con suo padre nella missione di censire. Il loro compito quindi è partire, scandire chilometri dentro nuclei di città. Che ovviamente un nome non ce l’hanno. Sono come faldoni, catalogati per volere di alfabeto. Dalla A alla Z di lettere spoglie si snocciola tutto il senso del loro agire. Non è così semplice svolgere il mestiere. Comportarsi da rilevatore. Bussare, avvicinarsi, raccogliere dati e infine marchiare. Tatuare i soggetti incontrati. E ben pochi risultano entusiasti: «Un aspetto della rilevazione è la capacità di argomentare a favore del censimento. Non tutti acconsentono immediatamente. Non tutti sono disposti…»

Occorre ingegnarsi, prendere misure ben prima di aver acquisito una sola informazione, rassicurare, persuadere, convincere se stessi di poterlo fare.

E ingoiare le amarezze disperse per la strada. «Capita spesso, in questa faccenda del censimento, di scoprirsi incapaci di ridestare nelle persone che si incontrano ciò che più li contraddistingue. Naturalmente è proprio questo il nostro dovere, e il mio insuccesso nel cogliere l’essenza di un intervistato mi ricade addosso di continuo».

C’è chi accoglie con favore, chi si dimostra stoico, chi si contorce di lamenti per i segni sulla pelle, chi semplicemente si rifiuta. Sottraendosi o insultando. L’nventario del disagio è sempre aperto. E impattare con ognuno di questi pianeti include un riverbero irrecusabile.

Il viaggio non occorre solo per valutare gli altri. Serve a ricapitolarsi, a disseppellire frammenti di vita. La carriera di medico, gli scampoli matrimoniali, il sogno della moglie di salpare tutti in auto per esplorare altri confini. La monumentale delicatezza del ruolo di padre, con un figlio prezioso e perennemente fragile, spesso deriso, ferito dalle schegge dell’ignoranza della gente. L’inderogabile esigenza di lasciarlo esprimere, nonostante i crepacci: «In qualsiasi momento ogni parte di questo mondo è eternamente affascinante. Non esiste una griglia di valutazione efficace che consenta di scegliere tra fare una cosa o una qualsiasi altra. Perciò, quando mio figlio decide semplicemente di osservare questo e quello, e sguscia fuori da sé per entrare in empatia con l’oggetto osservato – sia questo una ruota panoramica o una tartaruga – io non riesco mai a oppormi, e certamente non ho mai tentato di mutare ciò che costituisce, ai miei occhi, una risorsa fondamentale: la capacità di scoprire in ogni momento qualcosa di profondo».

La coscienza e la facoltà di raccontare un’anima pulita come quella del ragazzo sono doni che l’autore ha strappato a se stesso. Allo sguardo, al respiro, alle impronte di una creatura con nome e cognome bene incisi sulla pietra. Abram Ball, suo fratello, con la stessa sindrome, morto da vent’anni. Parte del suo flusso, della sua freschezza si sono rovesciati in questo figlio indomito, paziente e curioso, che si ritrova, stavolta, a sopravvivere, a resistere alla fine di chi ama. A non capire la morte del tutto, ma a farlo comunque.

Censimento non ha certo una trama esondante di colpi di scena. E chi li aspetta o li privilegia farebbe bene a rivolgersi altrove. Passando in rassegna i centri abitati piovono al massimo scaglie di solitudini, imperfezioni, inesattezze e rimpianti. Felicità piccolissime e distacchi necessari. Lo specchio di ciò che galleggia nelle ultime ore di un uomo.

Come in altri romanzi in cammino, tra cui lo straordinario Gli anelli di Saturno di W. G. Sebald, In viaggio contromano di Michael Zadoorian o Il figlio del figlio di Marco Balzano, la sua ricchezza totalmente priva d’imprevisti dimora in altre punte, in ciò che si snocciola come piume rarissime durante il tragitto. Poetica e sottile è la presenza dei libri di Gerhard Mutter, citati e letti dal protagonista. Una donna dall’apparenza maschile, sindaco di una città tedesca nei pressi di Stoccarda che «scrisse compulsivamente di cormorani per tutta la vita». E che da loro ereditò pagine di consapevolezza: «L’impressione che un cormorano ha del crepuscolo non ha niente a che vedere con quella che abbiamo noi umani. Noi che siamo maestri del nulla – noi che dobbiamo cambiare le cose per poterle dominare, non possiamo comprendere cosa significhi essere dominatori per natura: acquisire una sovranità che non è avida, ma si estende in linee quasi palpabili dall’estremità di ogni penna, dalla punta del becco, dai globi oculari. […] Le nostre vittorie umane, per loro stessa natura, non hanno gloria».

La nostra sola possibilità è quella di cavalcare il viaggio, fiutare il mare o la polvere dei cocci. Esattamente quello che fa il nostro anonimo rilevatore, fino all’ultima tappa, finché suo figlio non salirà su un altro treno e porterà avanti altre storie, con nomi infiniti incollati sul petto.

E forse, quel posto vuoto di sillabe accanto a luoghi e persone, potrà essere anche il nostro, popolato mille volte da ciò che ancora ci manca.

 

(Jesse Ball, Censimento, NN editore, traduzione di G. Calza, 2018, pp. 262, € 18.00)

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Jesse Ball costruisce una storia semplice e poetica, un archivio di piccoli incontri e frammenti di memorie che custodisce il senso di un destino universale.