Cinema
Martin Eden ridefinisce il cinema d’autore italiano
Sul film di Pietro Marcello
di Francesco Vannutelli / 13 settembre
Premiato all’ultima Mostra del cinema di Venezia con la Coppa Volpi per l’interpretazione di Luca Marinelli, Martin Eden di Pietro Marcello è un film innovativo e coraggioso, capace di sovvertire il linguaggio del cinema d’autore mentre si spinge verso terreni poco esplorati.
Martin Eden è, all’origine, un romanzo di Jack London pubblicato oltre un secolo fa, nel 1910. Racconta la storia di un marinaio, Martin appunto, e della sua ambizione di diventare uno scrittore.
Marcello ha trasferito la storia dalla California alla Campania. Martin è sempre un marinaio mercantile che vive alla giornata, conquista donne, e finisce in risse. È proprio dopo aver difeso un ragazzo da un’aggressione che conosce la sorella Elena, figlia dell’alta borghesia colta e raffinata. L’attrazione è fortissima, come lo è il desiderio di Martin di leggere e conoscere sempre di più.
Grazie ai consigli di Elena comincia a formarsi una cultura e cresce in lui il sogno di diventare uno scrittore. I tentativi falliti sono tanti, mentre la famiglia di Elena diventa sempre più insofferente al legame tra i due. Martin diventa uno scrittore famoso, ma il successo, la cultura e la ricchezza non gli portano la felicità sperata.
Quello che era sorprendete del romanzo di London era la capacità di sintetizzare e in parte anticipare pensieri e movimenti che avrebbero poi determinato il secolo appena iniziato. Animato da un sincero socialismo, l’autore di Zanna bianca aveva costruito un personaggio che incarnava il bisogno di riscatto sociale di classi sfruttate e la loro frustrazione per una mancata rappresentanza.
Il Martin Eden del 2019 è invece la sintesi di un secolo. Non si pone in un periodo storico preciso. I fatti lasciano intendere che siamo nel ventennio tra l’ascesa del fascismo e l’inizio della seconda guerra mondiale, ma gli elementi di scena – vestiti, macchine, accessori – sembrano spingere il tempo più avanti. Sembra che Pietro Marcello si sia divertito a non fornire coordinate precise allo spettatore. Il suo è un discorso a-storico, perché l’inadeguatezza e l’insoddisfazione – intesi come slanci prima positivi, poi divoranti – di Martin Eden sono eterni.
La Storia, quindi, intesa come ordine consequenziale dei fatti, non sembra interessare al regista. Ne sono una prova ulteriore le affascinanti immagini di repertorio che si alternano alla finzione scenica. Una fusione perfetta, per tematiche e tecnica.
La gigantesca interpretazione di Marinelli, sempre più grandissimo interprete, fa brillare il film. Le trasformazioni di Martin Eden passano sul suo corpo, prima vigoroso e arrogante, poi consumato e stanco. È un’altra interpretazione dal grande carattere fisico dopo il precipitare nella droga di Non essere cattivo.
Pietro Marcello è riuscito a innovare il linguaggio senza perdere di vista gli esempi del passato – Luchino Visconti, soprattutto. In questo procedere senza riferimenti storici stabili e definiti, il regista riesce a essere manierista senza essere manierato, a portare avanti un discorso e una ricerca estetica senza risultare estetizzante.
Sono tanti gli elementi da apprezzare di Martin Eden. Il passaggio di ambientazione è perfetto, la scrittura è ricca, la regia elegante, il montaggio magistrale, le interpretazioni.
Questo Martin Eden rappresenta un importante passo avanti per il cinema d’autore italiano.
(Martin Eden, di Pietro Marcello, 2019, drammatico, 129’)
LA CRITICA - VOTO 8/10
Animato da un grande Luca Marinelli, Martin Eden inventa un nuovo linguaggio per il cinema d’autore con un grande coraggio sperimentale.