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Cinema

Il cinema come manifesto

La Hollywood possibile di Quentin Tarantino

di Francesco Vannutelli / 20 settembre

Il nuovo film di Quentin Tarantino, C’era una volta…a Hollywood, è forse il più atteso della sua non vasta ma ampiamente venerata filmografia. I motivi di interesse sono tanti. Prima di tutto il regista, che raccoglie l’attenzione di pubblico e critica con estrema facilità. In secondo luogo il cast, con due icone come Brad Pitt e Leonardo DiCaprio circondate da Margot Robbie, Al Pacino, Kurt Russell e una miriade di altri volti noti.

È soprattutto l’ambientazione ad aver attirato gli occhi di tutti. Tarantino continua con il suo nono film la sua ricerca storica personale iniziata con Bastardi senza gloria. Torna nel XX secolo, a Hollywood, in un anno come il 1969 carico di momenti di passaggio e in una data precisa: la notte tra l’8 e il 9 agosto.

È la notte in cui, a Cielo Drive, la “famiglia” di Charles Manson fa irruzione nella villa di Roman Polanski  e massacra Sharon Tate, la giovane moglie del regista, incinta all’ottavo mese, e i suoi tre ospiti, Jay Sebring, Wojciech Frykowski e Abigail Folger.

Si è parlato a lungo di C’era una volta…a Hollywood – tra l’altro, come si scrive? La preposizione va prima o dopo i puntini? Ci va lo spazio? Non si è ancora capito bene e se lo sono chiesti pure sul New York Times – come di un film su Manson e i suoi seguaci. Non è così. A Tarantino interessa parlare dei vicini di casa di Polanski e Tate.

Perché nella villa accanto abita Rick Dalton, immaginaria star della tv caduta in declino dopo aver tentato senza fortuna il salto nel cinema. Dalton si trascina tra ruoli di cattivo in qualsiasi show gli capiti tra le mani. Si porta sempre appresso la sua storica controfigura, Cliff Booth, che gli fa anche da autista e factotum. L’alternativa è l’Italia e i suoi spaghetti western, ultimo rifugio prima di arrendersi completamente. Eppure il nuovo cinema è proprio lì vicino, nella villa di Polanski.

Quentin Tarantino prosegue quel percorso di revisione della Storia che aveva iniziato con Bastardi senza gloria e proseguito con Django Unchained The Hateful Eight. Dopo aver liquidato Hitler e lo schiavismo, qui si intromette in una delle pagine più nere della storia del cinema.

In C’era una volta…a Hollywood ci sono tutti gli elementi che caratterizzano il cinema tarantiniano: grandi dialoghi; ironia; citazionismo e cultura cinematografica a quintali. Per il bene dell’equilibrio, mancano anche due dei suoi principali difetti – o almeno sono molto contenuti: lo sproloquio per autocompiacimento e l’exploit splatter senza controllo.

Per la prima volta nella carriera, Tarantino parla di cinema apertamente. È un progetto su cui ha ragionato a lungo. Ha dichiarato che ha iniziato a scrivere la storia pensando a un romanzo, ma dopo cinque anni di lavoro si è reso conto che era perfetta per il grande schermo. Se è vero, come ha dichiarato più volte, che il prossimo film sarà il suo decimo e ultimo da regista, può darsi che abbia già iniziato a salutare con questo omaggio al cinema e alla sua storia.

Chi si aspettava un film su Sharon Tate rimarrà deluso. C’era una volta…a Hollywood è un lungo discorso sul cinema, sulla sua capacità di costruire il reale, sulla sua potenza onirica. Basta conoscere anche sommariamente Tarantino e il suo immaginario per capire che il cinema di cui parla è quello di puro intrattenimento, quello da cui ha saputo distillare la sua idea personale di come si fanno i film.

Rick Dalton incarna un’epoca di film e serie tv per le quali non c’è più stato posto a un certo punto a Hollywood. Nuove tematiche, nuove sensibilità, nuove idee hanno chiuso la strada a Dalton e a tante altre star che si sono trovate senza un posto, senza un ruolo. Si apriva l’epoca della New Hollywood, del cinema d’autore, del realismo crudo.

La vicenda di Sharon Tate diventa quindi un semplice pretesto per raccontare un’epoca. Tate, del resto, prima della sua drammatica scomparsa, era stata protagonista di una serie di film piuttosto leggeri e stereotipati, ma intrisi di estetica anni Sessanta e pienamente rappresentativi di un’epoca. Anche lei è un simbolo, per Tarantino, come Dalton. E dal loro incontro parte una versione diversa della Storia.

In forme simili a Boogie Nights di Paul Thomas Anderson, C’era una volta…a Hollywood è il saluto a un’epoca d’oro. Non è azzardato provare un paragone con Luci della ribalta di Charlie Chaplin nella figure di Dalton e Calvero, e nel generale racconto di una fine.

Tarantino, però, non si accontenta di una storia, e come il titolo lascia intendere preferisce scivolare nelle favole, immaginare realtà parallele piene di opportunità diverse. Quello che i film del Tarantino maturo – da Grindhouse in poi – sembrano rivendicare è il diritto della fantasia di plasmare il mondo, senza barriere tra reale e irreale.

Così, può esistere un mondo in cui i suoi bastardi senza gloria uccidono Hitler e uno in cui Rick Dalton quasi soffia la parte a Steve McQueen in La grande fuga.

I critici stanno facendo a gara a definire C’era una volta…a Hollywood il film più personale di Tarantino. Forse lo è, sicuramente non è sbagliato vederci una specie di manifesto di uno dei più importanti registi della storia del cinema.

(C’era una volta…a Hollywood, di Quentin Tarantino, 2019, drammatico-thriller, 161’)

 

LA CRITICA - VOTO 8,5/10

Arrivato al nono – e penultimo? – film della sua carriera, Quentin Tarantino definisce una volta per tutte la sua idea di cinema. C’era una volta a Hollywood è un film-manifesto sulla potenza anarchica e liberatoria della fantasia.