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Libri

Storia sentimentale di traduzione

«Il traduttore è l’unico autentico lettore d’un testo»

di Andrea Rényi / 2 luglio

Fin dai miei primi ricordi lo scambio fra lingue è un elemento ricorrente, la presenza di una seconda, una terza, persino di una quarta lingua oltre all’ungherese è costante. Poi arriva anche la quinta, l’italiano, con cui divento adulta, che mi accompagna ormai da quasi mezzo secolo. Dopo decenni di traffici con le lingue nella vita privata e nel lavoro, approdo alla traduzione editoriale quindici anni fa sbagliando, pur amandolo, il primo libro, e avendone in mente altri da tradurre, tutti con qualche legame affettivo. Questi affetti hanno molto a che fare con la peculiarità della mia combinazione linguistica: di solito si traduce da una lingua straniera verso la lingua madre, io però faccio il contrario, anche in virtù dei due terzi di vita trascorsi in Italia. Per me tradurre dall’ungherese è più di un lavoro, a torto o a ragione mi sento investita del ruolo di rappresentanza della storia, della letteratura, in generale della cultura del Paese in cui sono nata.

L’evento storico ungherese più importante fra la fine della Seconda guerra mondiale e la caduta del Muro è indubbiamente la rivoluzione del 1956. Colgo dunque al volo l’occasione offerta da Baldini Castoldi Dalai di tradurre un libro a mia scelta per commemorarne il cinquantenario. Scelgo Il caso Bang-Jensen. Ungheria 1956, un Paese lasciato solo, il brillante risultato di dieci anni di ricerche svolte dal drammaturgo e filosofo András Nagy. Apparentemente un giallo storico sulla misteriosa morte del diplomatico danese Povl Bang-Jensen, in realtà è un saggio romanzato che attraverso la vicenda personale di Bang-Jensen ripercorre la storia della rivoluzione ungherese, della crudele repressione messa in atto dal governo Kádár dopo la sconfitta, delle iniziative o piuttosto della loro assenza, da parte del mondo ritenuto libero, e soprattutto dell’ONU. Un voluminoso saggio ben documentato e strutturato come uno spettacolo teatrale, che insieme alla mole di riferimenti storici e letterari, ai corposi apparati e alla complessità della storia sarebbe stato un compito difficilissimo da affrontare per un traduttore provetto, figurarsi per un’esordiente.

Un esperto avrebbe capito subito che la traduzione pedissequa di un saggio costruito con tecniche teatrali, praticamente una pièce, per giunta ungherese, non avrebbe prodotto una lettura godibile per i lettori italiani, quindi sarebbe stata bocciata dall’editore. E così è stato. Per fortuna l’autore si è messo subito a disposizione, abbiamo riscritto il libro, e io la traduzione, facendolo diventare se non un saggio di facile fruizione, ma almeno a portata del pubblico italiano. Ricordo i pianti mentre traducevo; non piangevo per le difficoltà incontrate, bensì per i destini tragici delle persone coinvolte in quelle vicende storiche. Una figura in particolare mi fa venire i lucciconi ancora oggi: Valéria Friedl, una traduttrice che non aveva combattuto con le armi, ma negli anni immediatamente dopo traduceva e inviava rapporti a Vienna facendo sapere al mondo che cosa stava succedendo in Ungheria. Per questo è stata condannata a morte e impiccata a 47 anni a Budapest il 21 luglio 1959.

Nella storia delle mie traduzioni l’anno d’oro è stato il 2009: uscirono un libro tradotto con amore e ben tre libri tradotti per amore, due per amore filiale e il terzo perché opera dello scrittore che è in cima alla mia classifica di autori ungheresi, allora come ora. Li passo in rassegna.

Dostoevskij legge Hegel in Siberia e scoppia a piangere di László F. Földényi, studioso della letteratura, storico d’arte e saggista prolifico insignito di numerosi premi, è un libretto di poche pagine con dentro un mondo di uomini in esilio. Pubblicato da Il Melangolo, è il mio omaggio alla memoria di mio padre, avido lettore di Hegel e di Dostoevskij. Alberto Manguel scrive nel 2012 su Repubblica: «Devo la scoperta di László Földényi a Cees Nooteboom, che in uno dei suoi assalti epistolari insistette perché lo leggessi…». Un titolo folgorante che mantiene la promessa, recensioni molto favorevoli di penne illustri, crescono quindi le speranze di vedere altri libri di Földényi pubblicati in italiano. Allo scopo traduco brevi saggi dell’autore anche per l’indimenticata rivista di Goffredo Fofi, Lo Straniero. Ma nonostante delle opere di Földényi si occupi un’agenzia letteraria italiana abbastanza agguerrita, non succede nulla, mentre la crescente popolarità internazionale di Földényi viene confermata dalle numerose traduzioni. L’ultima per la Yale University Press seguita da una lunga recensione sul New Yorker. Tuttavia Földényi ancora oggi è un illustre sconosciuto in Italia. Cito di nuovo Manguel sul nostro autore: «La mia ignoranza dell’ungherese è assoluta e mi dovetti limitare perciò a leggere qualcuna delle opere di Földényi tradotte in spagnolo e in tedesco: sufficienti per giudicarlo un pensatore brillante, originale, lucido; ho seguito con piacere le sue illuminanti considerazioni filosofiche, storiche ed estetiche. I suoi libri sulla malinconia, l’arte e la critica sono dei capolavori».

Azarel di Károly Pap, uscito in Ungheria nel 1937, avvicinò la mia mamma adolescente alla lettura: ancora parlandone mezzo secolo dopo le si illuminavano gli occhi. Piaceva anche a me ma l’ho capito e apprezzato veramente solo traducendolo, e difatti ho dato ragione a Gesualdo Bufalino che in Il malpensante scriveva: «Il traduttore è l’unico autentico lettore d’un testo. Non dico i critici, che non hanno voglia né tempo di cimentarsi in un corpo a corpo altrettanto carnale, ma nemmeno l’autore ne sa, su ciò che ha scritto, più di quanto un traduttore innamorato indovini».

Azarel, pubblicato da Fazi con la prefazione di Moni Ovadia per il Giorno della Memoria del 2009, è un libro completamente fuori dagli schemi a partire dalla trama e per finire con la scrittura, una prosa ritmata, un’atmosfera senza pari nella letteratura ungherese. Trasmette un messaggio singolare e molto audace, tant’è vero che nel 1937 il libro viene giudicato dalla comunità ebraica e trovato eretico. Un romanzo di educazione sentimentale di un bambino nato e cresciuto nell’ortodossia di cui però scopre il rovescio, un bilancio poco rassicurante dell’ebraismo mitteleuropeo degli anni Trenta. Il capolavoro unico di Károly Pap che perisce a Bergen-Belsen nel 1945.

«Nádas è uno dei maggiori scrittori al mondo» Susan Sontag – recita la scritta in piccolo sulla copertina de La Bibbia di Péter Nádas, un volume con tre racconti lunghi della produzione giovanile dell’autore corredato della sua prefazione, un importante documento storico-letterario, edito da BUR nel 2009. La troppa fretta di vederlo pubblicato produce due errori: un verbo sbagliato nella prima frase del racconto che dà il titolo alla raccolta e l’omissione del nome del traduttore. Ho avuto più fortuna con gli altri due libri del mio autore preferito – Minotauro (un’altra raccolta di novelle giovanili) e il breve romanzo psichedelico Amore –, tradotti per Zandonai in anni successivi. La sfortunata vicenda editoriale italiana di Péter Nádas, da anni costantemente fra i probabili vincitori del premio Nobel per la Letteratura, è stata raccontata già in altre sedi. Grazie a Bompiani che ha pubblicato il primo volume delle sue Storie parallele nella traduzione di Laura Sgarioto, Nádas è tornato nelle librerie italiane, e spero che pian piano anche le sue opere già tradotte potranno rivedere la luce. La traduzione del microcosmo de La Bibbia e dell’antisemitismo lessicale de L’agnello rimangono due momenti indimenticabili delle migliaia di ore dedicate alla traduzione.

Per un certo periodo da adolescente il mio romanzo preferito era Ballo in maschera di Magda Szabó, quindi con la proposta di Salani di tradurlo si avverava un sogno. L’autrice non ha bisogno di presentazioni, da tempo i suoi romanzi svettano nelle classifiche. Magda Szabó scriveva anche per quelli che oggi vengono definiti young adults, adattandosi ai criteri della letteratura giovanile comunista. Li seguiva però senza scadere nella letteratura di propaganda tanto diffusa negli anni Cinquanta e in buona parte anche dei Sessanta, arricchiva i suoi romanzi di elementi non di stretta osservanza politica e li confezionava secondo i canoni della letteratura di qualità. La prima edizione in ungherese del Ballo in maschera risale al 1961, è ambientato a Budapest nell’anno precedente, e la protagonista è una delle tante figure femminili indimenticabili – insieme alla nonna e l’insegnante – che hanno reso la scrittrice una delle più importanti del Novecento. Tradurlo è stato bellissimo perché mi ha fatto tornare adolescente ma con la capacità di comprensione e di analisi di un’adulta, scoprendo lo straordinario coraggio della Szabó di parlare anche dell’amore fra vecchi. Un tema decisamente insolito in quegli anni, in particolare in un’opera destinata ai giovani.

Con l’eccezione di due titoli che ho scoperto di non apprezzare in corso d’opera per motivi che qui tralascio, ero e sono rimasta affezionata anche a tutte le altre traduzioni seppure in assenza di un qualsiasi legame affettivo diretto. Concludo dicendomi onorata e molto soddisfatta di aver potuto tradurre György Konrád perché questo scrittore, sociologo e giornalista scomparso nel 2019 somma con il suo destino e i suoi scritti gran parte della storia politica e letteraria ungherese del Novecento e dell’inizio del Duemila. Perseguitato perché ebreo prima e durante la Seconda guerra mondiale, è stato dissidente durante il regime comunista, ha vissuto in esilio e ha contribuito all’avvento della democrazia in Ungheria dopo la caduta del Muro. Della sua vasta produzione in italiano sono stati tradotti solo tre romanzi, Il visitatore (1975), Il perdente (1995), e il terzo, l’autobiografico Partenza e ritorno, l’ho tradotto io per Keller nel 2015. Confesso che di lui avrei tradotto qualsiasi cosa, tanta è la stima e la considerazione, ma ho avuto fortuna perché Partenza e ritorno, la storia di Konrád bambino che attraversa l’Olocausto e riesce a ritornare a casa, è uno degli affreschi storici e umani più belli nella letteratura magiarofona.

 

 

(Post scriptum: forse tradurrò ancora o forse no, colgo comunque l’occasione per ringraziare, in ordine alfabetico, Raffaella Belletti, Giuliano Geri, Daniele Petruccioli, Laura Senserini, Nadia Terranova e Isabella Zani per il loro altruismo.)