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Musica

Benedetta sfortuna

"Forme complesse", l'ultimo album dei Fine Before You Came

di Luigi Ippoliti / 3 marzo

Pochi giorni prima dell’inizio di Sanremo, i Fine Before You Came pubblicano il loro sesto  disco, Forme complesse. La modalità di uscita  in controtendenza e la vicinanza temporale con il Festival, mezzo per rilasciare singoli e foraggiare il mercato attraverso qualsiasi tipo di piattaforma, confermano ancora oggi, anche solo per una coincidenza ( o no?) cronologica, la cifra artistica e l’approccio nei confronti del mondo del gruppo di Milano.

L’album esce solo su Bandcamp, non gratis, ma con una donazione minima di cinque euro. L’abitudine alla fruizione compulsiva, gratis e ovunque, per quanto idealmente utile e salvifica, ha i suoi risvolti negativi amplificati da quest’ultimo anno, e porta i FBYC a una riflessione  e alla decisione di fare qualcosa che quasi nessuno, oggi, ha il coraggio di fare: se dovesse esistere un modo giusto di promuovere la musica, è quello a cui siamo abituati in questi tempi?

Andando oltre quella che è una vera e propria questione politica, e spingendoci dentro Forme complesse, troviamo qualcosa di inedito rispetto all’immagine che abbiamo quando pensiamo ai FBYC.

Sfortuna, tanto cara a Niccolò Contessa, inno generazionale (anche solo di una subcultura) e Ormai (a oggi probabilmente l’album migliore dei milanesi), inno alla disperazione, sono imbevuti di emocore, post-rock e post-hardcore, un ritmo incalzante dove è quasi impossibile contenere la voce che sembra voler sfondare la propria dimensione per arrivare da qualche parte dove tutto quel dolore possa trovare conforto.  Forme complesse ne prende formalmente le distanze, lavora per sottrazione.

Non troviamo ritornelli alla «In questo piccolo paese conosco solo questa strada», nulla da esternare in maniera animalesca. Non si urla, il cantato è quasi un sussurro.  Non ci sono i FBYC per come li conosciamo.  È un album intimista, che si riflette su sé stesso e trova sollievo in una universo raccolto.  Un lavoro cantautorale, più melodico, meno da stadio (da stadio-club), più da camera.

Abbiamo a che fare probabilmente con il lavoro più cupo dei FBYC. I brani sono sospesi, tempi che sfiorano il doom, qualcosa alla Mark Kozelek e i primi Iliketrains in un’architettura pensata dai Diaframma trent’anni dopo.

I FBYC sono un oggetto di culto e un gruppo che ha sempre trovato il proprio sé in un mondo riconoscibile, mai sovraesposto. E così continua a essere. Forme complesse è un album adulto (si sono vestiti da adulti, alla fine?), che prende in controtempo chi si aspettava quella cosa da loro e si ritrova ad aver a che fare con un altro linguaggio da decifrare. Un sistema con cui dovremo ripensare ai FBYC,  ma che i sei di Milano riescono a mostrarci con una grazia sporca come solo pochi sanno fare.

 

 

 

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Grande album dei FBYC. “Forme complesse” si distacca da quanto la band milanese ci ha abituati e produce un lavoro cupo e mai gridato, ma solo sussurrato.