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Cinema

La vera storia di Sutton Hoo

Lo scavo che ha illuminato il Medioevo anglosassone

di Elisa Scaringi / 12 marzo

Può capitare che il protagonista di un film non sia una persona, ma una situazione, un evento o addirittura un oggetto. In La nave sepolta (omonimo adattamento del romanzo di John Preston) è uno scavo archeologico, intorno al quale si intrecciano rapporti e nuove relazioni.

Tradotto forse con troppa leggerezza, il titolo originale The dig mette al centro il vero soggetto di questa che sembra quasi una pièce teatrale trasposta sul piccolo schermo di Netflix: lo “scavo” di Sutton Hoo, nella contea inglese del Suffolk, territorio scelto dagli anglosassoni 1400 anni fa come luogo di sepoltura reale.

I personaggi si muovono quasi con circospezione di fronte a una scoperta archeologica straordinaria, che ancora oggi suscita non poche domande. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, il sito è stato a più riprese oggetto di ulteriori scavi e analisi storiche. La grande nave funeraria lunga 27 metri, fatta risalire lungo il fiume Deben, è solo uno dei resti datati VII secolo dopo Cristo.

Gli oggetti portati alla luce mostrano un’abilità artistica davvero sorprendente, con l’utilizzo di materie prime importate già allora dalle Indie, oltre che una particolare sensibilità verso la cura dei defunti.  

La formazione teatrale del regista, Simon Stone, è fondamentale nel processo di narrazione intorno ai diciotto tumuli presenti nella proprietà della giovanissima vedova Edith May Pretty (Carey Mulligan). Spinta da una forte passione di famiglia, perché certa che nascondano qualcosa, la donna – nel 1939 – si affida all’archeologo autodidatta Basil Brown (Ralph Fiennes), pioniere assai modesto di un sito ancora oggi visitato.

Conservati al British Museum, a cui la stessa Edith donò i reperti, i manufatti di Sutton Hoo confermano che il Medioevo non è stata l’età buia che si volle far credere nel XV secolo, quando le fu attribuito questo nome per rimarcarne la differenza rispetto a Rinascimento e Umanesimo, culla di una nuova età classica. Posto in mezzo tra la fine dell’Impero Romano (476 d.C.) e la scoperta dell’America (1492), il Medioevo è stato accusato di “inferiorità” rispetto ad altre epoche apparentemente più ricche e floride, associato spesso a eventi considerati negativi, come le invasioni barbariche del V secolo o la peste nera a metà del 1300.

In realtà, senza di esso, le scienze umane avrebbero avuto tutt’altro corso, e non solo. Il Medioevo italiano, per esempio, conta tra i letterati Dante, Petrarca e Boccaccio; in campo filosofico-teologico pensatori come Tommaso D’Aquino; per la geografia Il milione di Marco Polo eguaglia in diffusione la Bibbia degli amanuensi. In Inghilterra, invece, la dissoluzione dell’Impero Romano favorisce l’arrivo, attraverso il Mare del Nord, di “nuovi conquistatori” da Paesi Bassi, Germania e Scandinavia, che metteranno le basi alla definizione degli anglosassoni e della lingua inglese.

La nave sepolta propone allora un messaggio fondamentale, sottolineato con troppa poca forza: ogni “luogo di morte”, fisico o interiore, porta con sé tutto il carico del passato, ricordandoci che senza di esso il futuro non avrebbe motivo di esistere.

(La nave sepolta, di Simon Scott, 2021, storico, 112’)

 

LA CRITICA - VOTO 7/10

Agli albori della seconda guerra mondiale, quando il cielo inglese comincia a essere attraversato dagli aerei armati, il timidissimo Basil Brown segue l’intuizione di Edith May Pretty: sotto i tumuli della sua proprietà si nasconde un tesoro di inestimabile importanza per l’archeologia. La nave sepolta fa un tentativo di costruzione intorno al passato antico di un Medioevo che, contro tutti i pregiudizi, non può essere più definito come un’età buia.