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Musica

= di Ed Sheeran e la sua inutilità

L'ultimo album della superstar inglese

di Luigi Ippoliti / 24 novembre

I Party Posse sono la band di Bart, Milhouse, Ralf e Nelson. Tirata su come propaganda per creare già in età preadolescenziale un cordone ombelicale tra ascoltatori ed esercito americano, è una parodia delle boyband di fine ’90/inizio 2000. Il sound è quello facile, vuoto e disimpegnato (nonostante l’enorme dose di nostalgia che oggi può portarsi appresso) che spazia dagli NSYNC ai Five. Tralasciando i messaggi subliminali (YVAN EHT NIOJ) nella puntata dei Simpsons, la sensazione che si ha durante l’ascolto dell’ultimo album di Ed Sheeran, =, è quella ritrovarsi di fronte a qualcosa di molto simile a quello che ci proponevano Bart e soci.

Ed Sheeran è uno dei grandi misteri della musica pop planetaria. È difficile trovare delle peculiarità – per quello che propone e per il modo in cui lo fa -, che possano farti dire “Ecco, è per questo che Ed Sheeran è Ed Sheeran“. Justin Bieber è uscito da bambino e ora è un bad guy, è un belloccio. Ok. Taylor Swift ha quella componente malinconico-folk che ha convinto National e Bon Iver, non proprio gli ultimi arrivati. Ok. Andando a pescare un po’ nel passato, Michael Bublé, ma lui si è specializzato sul Natale. Ok.  Si potrebbe dire “Shape of You“. Bene, ma pare un po’ poco rispetto a quello che gli ruota attorno. Forse è proprio nell’incredibile assenza di peculiarità che dobbiamo andare a spulciare.

Le sue produzioni, la sua voce, l’uso della cassa, le strutture e le architetture melodiche: è tutto confondibile con roba affine mandata in filodiffusione mentre si fa la fila da Zara o nei corridoi di un centro commerciale. O in qualsiasi altro non luogo.

Il paradosso è nel film Yesterday, dove di fatto il protagonista, l’unico al mondo (quasi l’unico) che si ricorda dei quattro di Liverpool, decide di costruire la sua carriera spacciando le canzoni dei Beatles per sue. Dimostra allora la sua grandezza una volta che tutti si accorgono che quei brani (“The Long and Winding Road“, nello specifico) sono meglio di quelli di Ed Sheeran. Se ne accorgono tutti e se accorge definitivamente anche Ed. Il sottotesto è: nel 2019 il banco di prova per i Beatles è lui, Ed Sheeran.

L’effetto  di questo paragone per interposta persona è per forza straniante e, di conseguenza, comico. Neanche lui crede a come sia possibile questa cosa. Ma il fatto che ci sia Ed Sheeran e non altri in quel film è esplicativo di quanto l’artista inglese sia importante a livello mondiale.

Oggi, l’autore di “Perfect“, con =, persevera nel suo essere Ed Sheeran. Oscilla tra pezzi dove vuole fare la rock star (“Tides“, ma finisce per sembrare ancora più annacquato degli annacquati Mumford & Sons), pezzi destinati a diventare hit mondiali (“Bad Habits“, ma se l’avessero fatto i BTS o, di conseguenza i Coldplay, non sarebbe cambiato molto, parliamo della stessa entità che si manifesta in diverse forme), ballate romantico-melense (“The Joker and The Queen“, un grandissimo punto di domanda qui, a questo punto meglio le sue hit mondiali), pezzi da vere boyband anni 2000 (“Shivers” deve essere per forza uscita dai cassetti dei sopracitati Party Posse), prove di alt-pop (“Leave Your Life“, con un inizio simil Apparat, che poi precipita in un vortice di banalità melodiche) e una inconsistenza che attraversa l’intero album per cui in testa non fa che ronzare la domanda: perché Ed Sheeran sì e il maestro di canto che vive nel mio palazzo no?

LA CRITICA - VOTO 3/10

Non c’è molto da dire attorno a “=” di Ed Sheeran, se non che i 48 minuti e 30 dell’album potrebbero essere impiegati per fare altro.