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«Andò a finire che sposai un inglese»

“Madame Andata e Ritorno” di Lisa Morpurgo

di Manuela Altruda / 12 gennaio

Nel settembre di un anno non definito, in un castello che sorge in un punto dei Pirenei non precisato, vive Madame, donna raffinata e libera da qualsiasi forma di etichetta sociale. L’incantesimo iniziale di questa atmosfera surreale e suggestiva, dove cartomanti predicono il futuro mentre mangiafuoco e acrobati sono intenti a portare a termine le loro esibizioni – e che parrebbe ricordare quella di Il castello dei destini incrociati di Calvino –, viene interrotto dal crollo di una torre del castello dove la protagonista vive e da una morte forse non del tutto casuale.

Tutto questo, che potrebbe apparire insolito e fuori da ogni logica di tempo e spazio, in realtà descrive bene ciò che accade nelle prime pagine di Madame Andata e Ritorno, opera prima di Lisa Morpurgo pubblicata nel 1967 da Longanesi e riportata alla luce da Atlantide Edizioni. Dopo un oblio durato diversi decenni – troppi – questa straordinaria autrice del Novecento italiano torna ad avere l’attenzione che merita grazie alla felice operazione editoriale di Giulio Perrone Editore e di Atlantide, che a poche settimane di distanza hanno portato in libreria rispettivamente la sua biografia, opera di Melissa Panarello e secondo volume della collana “Le mosche d’oro”, e il suo esordio letterario.

Lisa Morpurgo, nata Elisa Dordoni, era originaria di Soncino, piccolo borgo del cremonese. Negli anni la sua fama è cresciuta soprattutto grazie al lavoro di astrologa ma in realtà l’autrice si avvicinò a questa materia piuttosto tardi, quando le fu affidata la traduzione di un testo sui ritratti zodiacali di François-Régis Bastide. Lavorava infatti per Longanesi come traduttrice editoriale e, successivamente, responsabile dei diritti esteri. Forse in molti avevano dimenticato che prima di avvicinarsi agli astri Morpurgo è stata però un’autrice di narrativa. Fu l’editore per cui lavorava a pubblicare Madame Andata e Ritorno (1967) e Macbarath (1975) mentre il suo ultimo romanzo, La noia di Priapo, uscì per La Tartaruga. Il suo esordio è stato riscoperto da Melissa Panarello mentre lavorava al volume per la neonata collana di Perrone; l’autrice catanese ha poi rintracciato gli eredi dell’astrologa e oggi ne gestisce i diritti tramite la sua agenzia letteraria.

Protagonista e voce narrante di Madame Andata e Ritorno è una donna di cui non si conoscono né nome, né età, né tantomeno caratteristiche fisiche. È nota solo come Madame, vive in un castello sui Pirenei di proprietà dello scapestrato pittore per cui lavora come assistente e segretaria, Filippo, discendente di una famiglia aristocratica spagnola. Il romanzo comincia dalla fine: il matrimonio di Madame con un uomo inglese di nome John, con il quale vive «in un bell’appartamento a Knightsbridge. Una volta era molto rumoroso, ma adesso il traffico è scarso, poche automobili scivolano via in fretta verso il Crescent». Come sia arrivata a sposare proprio quell’uomo e a vivere proprio in quel posto è il perno attorno al quale sembra girare l’intera vicenda. L’espediente narrativo usato è il vecchio trucco della madeleine di Proust, con la differenza che Morpurgo sceglie come appiglio per la memoria non un sapore ma un rumore, quello della pioggia incessante «che cade sempre più violenta». Madame ricorda la notte del crollo della torre e della morte dell’amante di Filippo, Costanza. Una settimana prima dell’incidente si era tenuta la grande festa che la Signora, ossia la madre del pittore, ogni anno era solita organizzare verso la fine di settembre: dai paesi vicini arrivavano valligiani in costume, nelle cucine non c’era tregua, e nelle radure venivano innalzati grandi padiglioni che ospitavano spettacoli circensi, specchi deformanti ed esperte cartomanti rivelavano il futuro.  È proprio una di queste, originaria di Carcassonne, ad annunciare a Madame l’imminente tragedia. E non solo.

«Vide una disgrazia imminente, ma che non mi toccava da vicino. Complicazioni nell’ambiente familiare. E infine l’amore di un giovane biondo che abitava in terre lontane».

La notte del crollo segna l’inizio per la protagonista di una sequenza sconfinata di viaggi, partenze e arrivi – prima al seguito di Filippo, poi sola – che, per citare ancora Calvino, ricorda al lettore che «di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». La prima tappa è Hong Kong e coincide con l’incontro del suo primo amante, un italiano di nome Paolo commerciante di perle e appassionato di archeologia; il secondo è il bulgaro Boris, conosciuto a Parigi, funzionario del Ministero delle Belle Arti nel suo paese e per questo interessato alle opere di Filippo. Madame ha anche un marito, Andrea, o almeno il ricordo di uno pseudo tale, che ora “vive” ibernato in una clinica di Losanna diretta dall’inquietante dottor Austerlitz.

«Andrea era mio marito. Ogni mattina, quando gli portavo il vassoio della prima colazione, nascondeva il capo sotto un lembo di lenzuolo per non essere ferito dalla luce, poi sbucava fuori piano piano, tastava l’orlo del vassoio a occhi chiusi per assicurarsi che ci fosse davvero, che non si trattasse di un brutto sogno, infine si drizzava sul gomito con un sospiro che lo squassava tutto, anzi, più che un sospiro era un gemito da agonizzante, da uomo torturato».

I personaggi con cui la protagonista interagisce sono molti e ognuno di essi è ben caratterizzato a partire dal nome che porta, mai casuale. Ci sono il già citato dottor Austerlitz e il professor Dunkirk da Londra – entrambi chiari richiami alle note battaglie che, insieme all’importanza data alla Guerra di Secessione spagnola, dimostrano la curiosità storica dell’autrice –, ma anche il notaio Guernica e il signor Guadalajara: nomi che dimostrano quasi più delle azioni e di qualsiasi fisionomia, e lo fanno attraverso luoghi ben precisi.

Se i protagonisti di questa storia si muovono in spazi peculiari – a ogni città descritta corrispondono suoni e profumi –, lo stesso non si può dire della dimensione temporale. All’inizio i fatti sembrano svolgersi in un contesto passato – la festa della Signora somiglia molto a una giostra rinascimentale –, ma l’arrivo di polizia, pompieri e detective riporta la narrazione nella contemporaneità, interrompendo quell’incantesimo e quella sospensione temporale cui si accennava all’inizio.

Parrebbe semplice, a questo punto, pensare che Madame sia una donna cinica e senza scrupoli, che firma il consenso per la vetrificazione del marito solo per non perdere il treno che la condurrà da uno dei suoi amanti. E in effetti le copertine delle prime due edizioni del romanzo – edite da Longanesi nel 1967 e nel 1974 – mettono in evidenza il lato sensuale e disinibito della protagonista. Eppure il punto non è questo. Il personaggio costruito da Morpurgo è scaltro e riesce in qualche modo a prendersi gioco del lettore: mentre le pagine scorrono la sensazione è quella di un’imminente svolta, un evento radicale che ribalterà lo status delle cose. Ma ciò non avviene e arrivati all’epilogo l’unico pensiero possibile è che tutto sia stato un grosso tranello. Ciò non vuol dire che con Madame Andata e Ritorno Lisa Morpurgo inganni i suoi lettori: anzi, dimostra di essere una narratrice abile e per nulla avversa alla sperimentazione. La sua è una prosa raffinata e non convenzionale che riesce a dare vita a una storia sì bizzarra, ma allo stesso tempo unica nel suo genere – se di genere vero e proprio si può parlare – come la sua protagonista. «I sentimenti sono come le opere d’arte, possono essere il risultato di una simulazione», afferma Donald Sutherland nei panni di Billy Whistler nel capolavoro cinematografico di Giuseppe Tornatore La migliore offerta, e poche frasi descrivono così bene questo romanzo fuori da ogni logica prestabilita e dai canoni cui siamo stati abituati dalla narrativa italiana del Novecento.

 

(Lisa Morpurgo, Madame Andata e Ritorno, Atlantide Edizioni, 2021, 128 pp., euro 20, articolo di Manuela Altruda)