Flanerí

Libri

Alle origini del sogno rivoluzionario

“Mordi e fuggi” di Alessandro Bertante

di Fernando Coratelli / 4 aprile

Ha senso scrivere oggi un romanzo che racconti i giorni e i tempi in cui nacquero le Brigate Rosse? Da cui presero piede i famigerati Anni di piombo? La risposta è sì, senza grossi dubbi. Tentare di gettare luce su quella che Zavoli definì magistralmente «la notte della Repubblica» è fondamentale per comprendere e rimettere a posto parecchi tasselli che ancora mancano nella storia del nostro Paese.

Alessandro Bertante fa il suo, nel nuovo romanzo uscito per i tipi di Baldini+Castoldi, Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR. Va all’origine, alla scintilla, o forse sarebbe più corretto dire alle scintille che innescarono le micce. Il protagonista, Alberto Boscolo, è un ragazzo infiammato e nutrito di sogni rivoluzionari in quella stagione di proteste cominciate col Sessantotto. È uno studente, non è un operaio, anzi a dirla tutta proviene da una famiglia della media borghesia, tanto che suo padre sembra ironizzare sui suoi sogni rivoluzionari, perché alla fin fine lo considera un ragazzo «cresciuto con troppi privilegi, senza bisogni autentici e animato da motivazioni scadenti».

La prima scintilla è familiare, cioè il desiderio di Alberto, simile a quello di tanti ragazzi dell’epoca, di ribellarsi prima di tutto ai padri, di dimostrare che si sbagliano di grosso a sottovalutarli. La seconda è la giovinezza, i vent’anni – come li definisce lo stesso Alberto. La terza scintilla sono gli anni Sessanta che «ci avevano raccontato che potevamo avere tutto, che il mondo stava cambiando e che saremmo stati proprio noi la generazione motore del cambiamento». Così, tra l’ideale e l’avventura, la logica conseguenza era che la rivoluzione stava per trasformarsi da chimera in realtà.

Bertante traccia ogni particolare, immedesimandosi in Alberto, dandogli voce e assaggiando la strada, gli odori, la nebbia di una Milano a cavallo di quei due decenni che avrebbero cambiato il volto dell’Italia per sempre. Ricostruisce e racconta con dovizia storica quei momenti, quei giorni in cui il Collettivo Politico Metropolitano decide di alzare il tono dello scontro, come si usava dire. Alberto è lì, è con loro, con i Renato (Curcio), le Mara (Margherita Cagol) e i Mega (il suo omonimo Franceschini). La bomba di piazza Fontana è la chiave di volta, è il punto di non ritorno che spinge la maggior parte del CPM a voler dare una risposta al timore di un colpo di Stato. Alberto è fra loro. Invece la sua fidanzata, Anita, è contraria. Qui si consuma il primo strappo nella vita del protagonista, che fa da metafora allo strappo principale della lotta armata. Bertante è sapiente nel mostrarlo; ci mette davanti un Alberto aggressivo, fin troppo rigido e coerente ai suoi schemi, convinto della sua verità, dentro cui si cela un’insoddisfazione, un’inquietudine tipica dei vent’anni, cui si accompagna la convinzione di essere immortali, anche perché «la morte di un rivoluzionario era un’opzione non prevista».

Mordi e fuggi non è però solo un romanzo sulle Br, è anche un romanzo di formazione, in cui Bertante non nasconde alcune ossessioni che ritornano spesso nelle sue opere, prima di tutto il suo rapporto ancestrale con Milano, con la città, l’asfalto. Tanto da poter definire, in un certo senso, Mordi e fuggi la chiusa di un trittico metropolitano milanese, di cui i precedenti sono Estate Crudele e Gli ultimi ragazzi del secolo. Del resto, Bertante non si nasconde, e attraverso le parole di Alberto dice: «Ero ossessionato dalla geografia urbana: i vecchi quartieri demoliti, i canali sepolti, le cinte murarie, le porte, le stazioni di posta. Leggevo e rileggevo, cercando di ridare un senso alla forma della mia città». In quest’ossessione da archeologo – che il Bertante autore inculca nel protagonista – prende appunto forma l’evoluzione del personaggio che cerca di realizzarsi attraverso l’azione, per dare un senso alla sua vita, per «fare la Storia».

Il desiderio che arde in lui lo porta a farsi «trascinare dalla voracità dei vent’anni e dall’urgenza dell’azione». Ma il percorso di Alberto Boscolo è un percorso verso gli inferi, una discesa che lo conduce verso l’anti-Storia, quella in cui poi davvero le Br si trovarono invischiate. Il precipizio del protagonista è tratteggiato in modo febbrile, in una Milano fredda e nebbiosa, o appiccicosa se estiva. Pochi gli squarci di luce, uno mirabile si svolge sulla spiaggia del Ticino, dove Alberto con un manipolo di compagni vanno a fare il bagno e a prendere un po’ di sole. Il protagonista si tuffa nell’acqua «fresca e pulita», si lascia trasportare dalla corrente e per un momento, forse decisivo, viene avvolto da una sensazione di tenerezza, di ricordi d’infanzia, di calore familiare perduto.

Di lì a poco l’ingresso nella clandestinità, le prime vere azioni militari, i «mordi e fuggi», i «colpire uno per educarne cento» di maoista memoria, fino alla morte del compagno Osvaldo (al secolo Giangiacomo Feltrinelli, colui che per primo aveva finanziato la campagna rivoluzionaria), e ai primi arresti, dovuti alle infiltrazioni della polizia politica.

È allora che Alberto Boscolo riflette a lungo, mentre tutto il suo «orgoglio di guerrigliero era svanito in pochi giorni». Una retata di periferia diventa così il simbolo di una sconfitta al centro del pensiero rivoluzionario.

Si attraversano così gli anni della fondazione del «partito armato», e per l’intero percorso narrativo ci si domanda e si analizza perché alcuni ventenni dell’epoca si sentissero spinti a fare una scelta del genere, e al contempo senza timore si percepisce che Bertante stesso si chieda cosa avrebbe fatto lui se avesse avuto l’età del suo protagonista nel 1970. E rivolge quella domanda anche ai lettori.

 

(Alessandro Bertante, Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR, Baldini+Castoldi, 2022, 208 pp., euro 18, articolo di Fernando Coratelli)