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Musica

Skinty Fia dei Fontaines D.C.

Il ritorno della band irlandese

di Luigi Ippoliti / 26 aprile

Cosa rimarrà degli anni ’20? Sicuramente i Fontaines D.C.  Gli irlandesi sono una pietra miliare di quello che dovrà accadere, incarnano nella maniera più pura possibile l’inclinazione rock di questi anni. Lo sono stati gli Strokes a inizio 2000, i Nirvana con il grunge, i Joy Division con il post punk.

Non è troppo presto per affermarlo.

Tre album, uno dietro l’altro, di livello altissimo, puntuali con il tempo che li accoglie, capaci di raccontare come la musica oggi deve raccontarsi, dando una linea, una guida.  Dogrel, A Hero’s Death, ora Skinty Fia.

A Hero’s Death, ancora più più del già destabilizzante esordio, uscito in piena pandemia e arrivato come una sorta di alieno in mondo in cui per la prima volta intravedevamo una fine possibile, era colonna sonora per qualcosa di non più reversibile.  Serio candidato a essere album del decennio, si articolava con intelligenza lungo le undici tracce e scendeva giù con violenza toccante e inaspettata, paradossalmente accogliente.

Skinty Fia non sarà così in alto per una questione cronologia: viene semplicemente dopo A Hero’s Death. Non lo supera, non riesce ad andare oltre, non ha uno sguardo che possa ulteriormente spostare l’asticella, ma lo completa, viaggia su una dimensione già conosciuta: complesso e immediato, oscuro ma pieno di tagli di luce, monotono ma sinistramente variopinto.

Un suono che affonda così tanto in un passato ideale, in un calderone, in un post punk mitologico, quasi astratto, a cui aggiungere l’indie dei primi 2000 e qualcosa di Britpop, ma allo stesso esce fuori qualcosa di mai ascoltato prima.  Ci sono momenti in cui pare necessario dirsi “ma in quale tipo di presente mi trovo?”.

Dalla prima traccia, che crea  continuità di intenti e di prospettive con il suo predecessore – passando per un’ode a Dublino attraverso Joyce (“Bloomsday“), la ballata sghemba “The Couple Across the Way“), la più intellegibile “Roman Holiday” -, l’album gira sulla voce sgraziata e bellissima, ripetitiva e complessa e disperata di Grian Catthen, il groviglio oscuro dei riff di chitarra e del basso e batteria, Bernard Summer che jamma con Carlos DenglerLo fa senza intoppi, manifestandosi nella sua completezza.

Skinty Fia ha il respiro dei grandi album, delle grandi opere. Uscirne con le ossa rotte dopo A Hero’s Death sarebbe stato possibile, addirittura comprensibile. Era forse un dovere, per noi mortali. Superarlo sarebbe stata un’impresa, quasi come rimanere su questo livello.

 

LA CRITICA - VOTO 8/10

Ennesimo grande lavoro per i Fontaines D.C., che si confermano tra i nuovi gruppi fonamentali. Skinty Fia ha il respiro delle grandi opere.