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Musica

Alpha Games dei Bloc Party

Torna la band di Kele Okereke

di Luigi Ippoliti / 10 maggio

I primi del 2000 sono gli anni dell’indie rock, ci sono gli Strokes, i Franz Ferdinand.  Diversamente gli Interpol, gli Editors. Gli Arcade Fire, etc etc.  Poi nel 2005 esce quest’album, Silent Alarm, che è una specie di bomba che esplode silenziosa sul mercato. Diventa album di culto, diversamente dai colleghi appena citati, e immagine di un modo di interpretare il rock.  Quasi vent’anni dopo, quattro album dopo, diversi stravolgimenti dopo,  esce un nuovo album, Alpha Games.

Se Silent Alarm è palesemente l’album che li rappresenta, che funzione come racconto di cosa sono i Bloc Party,  e A Weekend in the City il lavoro più complesso, è innegabile che da Intimacy (Forse quindi un po’ prima?) qualcosa si sia rotto. L’album solista di Orekere, The Boxer (e tutto quello che si è portato a presso da solo),  suona come un brutto incubo raccontato male, ma soprattutto i due album Four e Hyms sono stati dei buchi nell’acqua. Ingiustificabili certe scelte, la sensazione degli ultimi dieci anni è che i Bloc Party fossero solo un bel ricordo.  Dovevamo fare i patti con il fatto che quella cosa lì sarebbe rimasta quella cosa lì.

Qualcosa comunque è successa nel tempo perché la formazione cambia nel 2012: Matt Tong lascia. Nel 2015 viene seguito da Gordon Moakes. Insomma, i Bloc Party devono reimmaginarsi, ripensarsi, capire cosa fare, cosa essere. Kele Okereke e Russell Lisack. Non ce la fanno.

Questa non è una storia di redenzione: Alpha Games non è un grande album, non riabilita i Bloc Party. Non completamente, o non come ci aspettiamo oramai ogni volta, anche ingenuamente, all’idea di un nuovo album dei Bloc Party. È sicuramente qualcosa in più dei suoi due predecessori. Ha spunti che possono emozionare. La voce di Okereke è sempre piena di drammaticità e le sue venature gonfie di disperazione. È un album che regala qualche sussulto (“Rough Justice” sembra il brano che meglio possa rappresentare quello che da più di dieci anni Okereke vuole dire, ma che non riesce a tirare fuori), ma non è capace di andare oltre certi confini.

Interessante capire, invece, la scelta di non far ruotare l’album attorno a un’idea che prendesse spunto dall’ultimo brano, “The Peace Offering“: uno spoken album, slow core, avrebbe dato un’altra prospettiva a ciò che sono i Bloc Party, quantomeno un tentativo in una materia in cui pare che possano trovarsi a loro agio (palesemente il brano migliore); invece sembrano sempre schiavi di alcuni cliché portati avanti da loro nel tempo (quelle chitarre che tempestavano Silent Alarm, buttate in mezzo ogni tanto fanno sorridere, e il che non è proprio qualcosa di positivo), dando l’impressione di usarli quando le idee scarseggiano.

Perché non bastano due-tre pezzi validi (“Traps” su tutti, davvero ispirato e pronto a incarnare il sentimento di un ipotetico nuovo percorso Bloc Party), per riuscire a codificarsi in un presente che è lontano anni luce da un momento di grande ispirazione artistica.  Senza arrivare a dire che i Bloc Party sono morti e noi dobbiamo abituarci alla cosa, possiamo sperare che la ricerca di Kele Okereke continui e che trovi a un certo punto una chiave di volta.

LA CRITICA - VOTO 6/10

Inutile paragonare questi Bloc Party  con quelli di Silent Alarm. Alpha Games è un album discreto di una band che sembra cercare una nuova chiave interpretativa di sé stessa, ma che ancora non ne è stata capace.