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Cinema

Senza l’acqua alla gola

"Siccità" di Paolo Virzì

di Francesco Vannutelli / 1 ottobre

Paolo Virzì riscatta il passo falso di Notti magiche con Siccità, un film coraggioso e fuori dagli schemi capace di guardare a Hollywood e al passato del cinema italiano.

A Roma non piove da tre anni. Il Tevere è diventato un letto di sabbia sporca che taglia in due una città animata da persone alla sbando. Con l’acqua razionata e distribuita per le strade, una moltitudine di esseri umani si affanna quartiere per quartiere per cercare di mantenere una vita normale. C’è Loris, autista a chiamata, che dialoga con i fantasmi di amici e genitori; Antonio, un detenuto evaso suo malgrado costretto a confrontarsi con il passato; Sara e Luca, coppia ricca ma infelice; Alfredo, attore diventato un guru sui social network, incapace di vedere le sofferenze dalla moglie e il disagio del figlio, e tanti altri.

Il cast di Siccità è immenso e variegato, mette insieme Claudia Pandolfi, Valerio Mastandrea, Max Tortora, Elena Lietti, Sara Serraiocco, Silvio Orlando, Tommaso Ragno, Vinicio Marchioni, Monica Bellucci, e l’elenco è ancora lungo. Tutti protagonisti, tutti comparse in una città trasformata dalla mancanza d’acqua.

Quando parliamo del cinema nazionale c’è la tendenza, almeno una volta a stagione, a consacrare un titolo come superiore agli altri perché si distacca dalla media delle produzioni italiane per qualità, originalità e coraggio. È capitato con i film di Gabriele Mainetti, con quelli di Sydney Sibilia e Matteo Rovere, ma anche con venerabili maestri in grado di modernizzarsi come il Marco Bellocchio di Il traditore. Adesso è arrivato il turno di Paolo Virzì. O meglio, è tornato, perché già con Il capitale umano il regista livornese aveva allargato i propri orizzonti artistici. Via dalla provincia per guardare al mondo e, soprattutto, agli Stati Uniti.

Siccità è una riuscita sintesi di aspirazioni di grandezza hollywoodiane e localismi capitolini, di Robert Altman ed Elio Petri. L’enormità del cast rimanda a un’epoca cinematografica ormai persa a favore delle serie tv fatta di grandi affreschi collettivi che si intrecciano, anche solo per un secondo. L’ambientazione con un’Apocalisse in corso è allo stesso tempo metafora e ammonimento sul presente, simbolo e racconto.

Roma è sempre Roma, anche mentre si avvicina alla fine. Centro di potere e di ipocrisia, tentazione e consolazione, metropoli e villaggio. Così mentre il popolo fa la fila per riempire le taniche, i ricchi brindano con cocktail ghiacciati sulle terrazze e riempiono gli alberghi termali di oscuri palazzinari. I media si preoccupano di raccontare la crisi con lo spettacolo, con scienziati trasformati in celebrità e storie che diventano l’attrazione di una sera.

È impossibile non sentire l’eco delle fasi più acute della pandemia in Siccità. La nostra storia recente è stata rielaborata in un contesto nuovo e attuale, in un mondo in cui l’acqua è destinata davvero a diventare sempre di più un problema. Si nota quindi, e molto, la presenza dello scrittore Paolo Giordano al fianco di Virzì nella scrittura del soggetto e nella squadra di sceneggiatori insieme agli ormai consolidati Francesca Archibugi e Francesco Piccolo. Giordano ha svolto un importantissimo lavoro di riflessione sul Covid sulle pagine del Corriere della Sera. La sua capacità di analizzare con lucidità la pandemia ha reso possibile la trasformazione dell’esperienza collettiva in un un film che riesce a mostrare come si conviva con nuove normalità inimmaginabili fino a poco tempo prima. Siccità rappresenta una distopia sempre più possibile, e gli autori lo sanno bene. Non ci sono infatti nel film forzature estreme di ciò che potremmo trovarci a vivere. L’unico elemento che sa di fantascienza è la presenza a Roma di servizi di trasporto in stile Uber in grado di vincere il feroce monopolio dei tassisti.

Dopo aver abusato della nostalgia con Notti magiche, racconto troppo personale per risultare davvero interessante, Paolo Virzì si riafferma con Siccità per il grande narratore che è. Un autore sempre più in grado di sperimentare con i generi mantenendo salda la propria identità. A tratti, nel labirinto dei suoi personaggi, il regista rischia di perdersi e di non dare la giusta dignità a dei momenti chiave (viene in mente soprattutto il confronto Orlando-Serraiocco), ma la tenuta complessiva ricorda che è ancora possibile al cinema una narrazione corale costruita con piccoli tratti, con accenni in grado di mostrare intere storie.

(Siccità, di Paolo Virzì, 2022, drammatico, 124’)

LA CRITICA - VOTO 7,5/10

Torna il cinema corale con Siccità di Paolo Virzì, film che parla di un’apocalisse sempre più probabile in un grande racconto corale mai didascalico o moralizzatore.