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Ritratto scolastico

A proposito di “Domani interrogo” di Gaja Cenciarelli

di Mario De Santis / 30 novembre

La scuola è un luogo vivo, reattivo: riversa la sua energia giovanile sul mondo, ma a volte subisce da quello un’oppressione. Se osservata da vicino, per chi ha figli o insegna, se ne percepisce il brulicare anche quando a prevalere sono i disincanti, assorbiti per lo più dalla sfiducia degli adulti. La scuola da almeno quarant’anni è un terreno continuamente rivangato da volontà di riforme: a prevalere, nell’esperienza concreta di chi ci lavora, è adesso la giungla burocratica. Il resto è affidato forse più alle singole capacità e dedizioni di docenti e alunni. Di problemi ce ne sono molti, sebbene le notizie mettano in luce prevalentemente quelli.

Per guardare meglio in che modo ogni microcosmo di classe è un mondo, ci aiuta Domani interrogo, il nuovo romanzo di Gaja Cenciarelli (Marsilio, 2022), che racconta con grazia narrativa come vive uno di questi nuclei fondamentali del presente e del futuro. Dal passato ci arrivano narrazioni scolastiche, una varia mitologia tra letteratura, cinema e tv, e ora sono i social a fare rumore. Cenciarelli dribbla ogni retorica e affonda con cognizione e realismo in una storia scolastica del presente italiano, ancora più romano e ancora più di una classe monade, alle prese qui con l’ora d’inglese in una scuola della periferia di Roma Est, durante l’anno di maturità. A insegnare, nella ciclicità assurda delle rotazioni di cattedre, che rende tutto precario, è “La Professoressa” (la conosceremo sempre con questo sostantivo, senza il nome, al massimo apostrofata dagli alunni in un cinguettante e romanesco «pressoré!»). La Professoressa è donna schermo piuttosto trasparente della stessa autrice, che insegna appunto inglese (oltre a essere una delle migliori traduttrici letterarie italiane) e che vive l’esperienza della docenza nella vasta estensione della lotta che è la città di Roma, come spesso racconta con piccoli apologhi sulle sue pagine social).

La classe-monade Quinta A di Domani interrogo si estende oltre il suo perimetro, perché la vita di chi ha rapporti con gli studenti, se considerati come persone, come La Professoressa fa, si sposta spesso nei corridoi, nel cortile, sul marciapiede fuori dai cancello e infine al Bar Naut. Domani interrogo fa un ritratto di come sia complesso oggi insegnare, nell’impasto tra “la materia” del programma e “le storie” dei singoli, a loro volta dentro un organismo instabile che è “la classe”. Cenciarelli dispiega il racconto cronologicamente, mescolando i registri. Si ride spesso, ma il romanzo restituisce una difficoltà oggettiva. Ci sono storie anche difficili, c’è la periferia di una grande città come Roma, ci sono i dubbi della professoressa, ma anche la sua determinazione che vince un clima generale di scontentezza, sia di studenti che dei suoi colleghi. Non si tratta di un ottimismo o “buonismo” cieco, al contrario la Professoressa ci vede benissimo.

Col suo realismo, lo si può leggere come un reportage, ma il romanzo è anche portatore di uno sguardo necessario, che parte da un assunto preciso: i ragazzi e le ragazze sono il nostro futuro – e sono soprattutto il loro futuro. Cresciuti forse con tante distorsioni, distrazioni, nichilismo, paure, la loro formazione ci riguarda tutti. Uno sguardo che l’autrice affida a un espediente narrativo: spesso la voce narrante apre squarci sul futuro di alcuni ragazzi, perché non ha bisogno di essere giraffa (quella in copertina) e «di avere il collo lungo per conoscere il futuro», lei lo sa «perché io sono la scuola», dice non con l’orgoglio di chi si è assunta quella responsabilità di accompagnarli nella crescita (sebbene il mondo adulto spezzi quella formazione proprio con la transitorietà dei docenti). Così il romanzo restituisce bene quell’energia instabile di possibilità che è la scuola, che resta tale anche quando se ne mostrano – nei destini di alcuni ragazzi – i fallimenti.

Domani interrogo già dal titolo gioca sul calembour: la scuola è uno spaziotempo da cui ogni giovane persona interroga il suo futuro – e tutti noi possiamo in essa interrogare il nostro domani. Cenciarelli racconta senza fare sconti a nessuno, tanto meno ai ragazzi e le ragazze, fotografa la loro distanza, l’amarezza (qui tutto è precario e «noi semo monnezza», dice uno studente), ingaggia poi un tango etico con gli alunni, li conquista sul loro terreno grazie all’ascolto, ne ottiene il rispetto (dal romanzo emerge che disfattismo, aggressività, paura e mancanza di stima di sé stessi sono più forti nei maschi, mentre le femmine spesso li rimproverano per questo). È una guerra amorosa, come nel madrigale di Ariosto si canta: «Quanto ha guerra maggiore / intorno in ogni loco e in su le porte / tanto più un grande amore / si ripara nel core, e fa più forte».

Dalla lotta La Professoressa raccoglie perle anche nei fondali più muschiosi e in ombra, dà improvvise accensioni per i concetti che arrivano dagli autori in programma, compresi Joyce e Woolf. Non mancano i fallimenti, che tuttavia sono «sublimi» per La Professoressa, non solo per la guida spirituale di Beckett («Fail again. Fail better») ma perché l’insegnamento della materia è sempre il pretesto di un post-testo, ovvero serve proprio ad attivare un romanzo di formazione, ma tutto da scrivere e immaginare. La scuola costruisce ricordi futuri. La scuola è ciò che forma anime, coscienze, a dispetto di tutto ciò che in essa non ha forma. Il programma è il sapere, che La Professoressa porta ai suoi studenti, ma c’è però anche quello che lei «non sa». Tra apertura all’ascolto e fermezza nel fare ciò che a scuola si fa (imparare) si gioca la dialettica in cui formare è verbo che include sia cognizioni che dolori. Imparare idee, visioni, saper usare le parole, serve poi a non arrendersi a destini percepiti prima di tutto dai ragazzi come immutabili.

Il racconto della realtà porta nel romanzo l’elemento della droga, costante del libro, convitato di pietra che diventa il tema di avvertimento continuo della Professoressa ai ragazzi e che incrina i rapporti con la classe fino alle minacce di un «mondo di quelli fuori» che è il vero Moloch che mette a rischio la scuola. “Fuori” significa famiglie in difficoltà economica, rapporti spezzati, pochissime prospettive. Ma il romanzo, per quanto voglia raccontare una comunità, sa ben tenere le distinzioni individuali. C’è il ragazzo che studia, c’è la ragazza che si illumina ed è curiosa e brava anche se non è certa del suo talento, e c’è chi ha il talento della danza con una carriera avviata. Così come c’è chi preferisce spacciare o ciondolarsi in una vita di gang.

“Salvarsi” è verbo che ricorre nel romanzo: la scuola «salva ogni giorno» la Prof (e anche l’autrice, professoressa Cenciarelli, come scrive nell’esergo); i ragazzi cercano di salvarsi non solo dal rischio interrogazione ma da ben altre minacce. Il romanzo racconta e non ha ricette morali, anche se il cuore di tutto sta in un mix di dono e scelta etica, ed è quello di stare con loro e «nel loro mondo», come scriveva Sandro Onofri, che affiora nei ricordi della Professoressa (e di Gaja Cenciarelli narratrice – e, se mi è possibile dire, anche nei miei: indimenticato Sandro, che bisognerebbe far rileggere a un mondo editoriale dalla memoria corta). Stando in quel mondo, accompagnare nel cambiamento, qualunque esso sia, ben oltre “la materia”. Un po’ alla Gertrude Stein, Cenciarelli ci dice che «la scuola è la scuola è la scuola». Se non una missione (che sa di colonialismo), fare scuola come la fa La Professoressa è certo una dépense, come l’erotismo per Bataille. Oltre ogni valutazione, ogni apprendimento, pure necessario, quel che impariamo dal romanzo di Gaja Cenciarelli è che la scuola ha a che fare con l’amore per la vita, con quella pulsione inspiegabile con cui alla fine la vita stessa, se interrogata, risponde come Molly Bloom: «sì».

 

(Gaja Cenciarelli, Domani interrogo, Marsilio, 2022, 240 pp., euro 17, articolo di Mario De Santis)