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Nulla è quello che sembra

A proposito di "1899"

di Elisa Scaringi / 16 dicembre

L’anno 99 di un secolo può suscitare malumori, come fu alla vigilia del Nuovo Millennio, quando non mancarono previsioni infondate sulla fine del mondo. In 1899, la serie Netflix firmata dagli stessi autori di Dark, non ha un impianto apocalittico classico, ma il numero 99 assume un certo peso, soprattutto in relazione alla forte simbologia labirintica che contraddistingue la scrittura di Baran bo Odar e Jantje Friese.

Non è un caso che 9+9 faccia 18 (come il secolo in cui è ambientata questa prima stagione), e non sembra affatto scontato che alla fine ritorni sempre lo stesso numero. Il 1899 è anche l’anno in cui Kate Chopin pubblica Il risveglio, romanzo che compare per un attimo a rinsaldare il legame con un’epoca in cui la donna aveva ben poche libertà, chiaro rimando alla protagonista della serie, Maura Franklin, figura solitaria alla ricerca della propria memoria e segnata da una maternità complessa, tema centrale del libro pubblicato alla fine dell’Ottocento, che probabilmente rappresenterà anche uno dei filoni principali che guideranno le stagioni prossime di 1899. Maura è infatti una madre che ha perso apparentemente tutto, ma è anche una donna che scopre, districandosi nel rebus che le si apre di fronte, le sue qualità intellettive: quando la rotta della nave che la sta portando in America viene deviata per soccorrere un altro transatlantico scomparso, un nuovo mondo, per così dire, irrompe proprio nel bel mezzo dell’oceano, scardinando l’orientamento di tutti i passeggeri. Non a caso il numero della sua stanza, la 1011, ricorda il sistema binario utilizzato dall’informatica per la rappresentazione interna dell’informazione. La sequenza di bit potrebbe avere un ruolo fondamentale nella comprensione di eventi spesso indecifrabili, almeno nelle prime puntate, quando tutto il mistero orienta in ben altra direzione.

Se in Dark sono i salti temporali e il teletrasporto a essere al centro del mistero, qui i viaggi nello spazio della mente sono l’enigma da risolvere tra passaggi nascosti e sogni che ricordano il passato. In un intreccio sempre più cervellotico, 1899 non è una serie per distratti: i dettagli sono così tanti che si rischia di perdersi in un groviglio incomprensibile. Nulla di quello che si vede sembra essere reale: anche la stessa musica tende a ingannare, trascinando la serie sulle sponde di un thriller cupo ai confini dell’horror, che si disvela solo alla fine come un lungo preambolo a una trama fantascientifica.

1899 rimanda sicuramente al già visto. Per esempio Inception del 2010, nel labirinto di sogni racchiusi uno dentro l’altro che confondono al punto da non riuscire più a comprendere il confine tra la realtà della veglia e la finzione del sonno. Oppure Lost, cominciando dai flashback che aprono ogni puntata di 1899 per raccontarci un pezzettino dei personaggi principali che andranno a costruire la storia, e finendo con le anomalie spazio-temporali che ne definiscono la mitologia. L’intreccio mostra, invece, evidenti somiglianze (ai limiti del plagio effettivamente palesato) con il fumetto Black Silence del 2016: una fra tutte, la centralità della piramide, una sorta di chiave, nel senso letterale del termine, per comprendere parte del marchingegno che muove tutti gli eventi.

C’è poi la mitologia. Quella dei nomi dati alle navi che traghettano su un oceano mai luminoso: Kerberos e Prometheus. Il primo, un essere mostruoso messo a guardia degli inferi; il secondo, figlio di Titani che rubò il fuoco agli Dei per darlo agli uomini. Il Cerbero guardiano dell’Ade viene preso a prestito per le sue tre teste che rappresentano il passato, il presente e il futuro. Ma Kerberos è anche l’identificativo di un protocollo di rete che consente la comunicazione fra terminali mediante un sistema di autenticazione presso un server. Ciò a conferma di quanto quello che si vede non aderisca mai all’immagine percepita, ma nasconda sempre un tassello per comprendere il passaggio successivo di un rompicapo ai confini tra videogioco e realtà virtuale. Il Cerbero è quindi un luogo di perdizione, dove le categorie temporali e spaziali diventano una questione di codici che aprono varchi, deviano le direzioni e trasformano il confine dei sogni. Prometeo, invece, è “colui che riflette prima”: astuto e intelligente, viene contrapposto al fratello Epimeteo, “colui che riflette dopo”. Chiaro riferimento al binomio tra Maura, la protagonista, e il fratello Ciaran: lei nata “per cercare”, e soffrire inevitabilmente, apre ogni porta, si addentra nei meandri più bui, spinta dalla brama di maggiore conoscenza; lui venuto al mondo “per evitare”, ed essere felice, è il grande assente di tutta la serie.

In 1899 la filosofia e la psicologia, la tecnologia e la fantascienza, la medicina e gli avatar si mescolano in un intrigo forse un po’ troppo audace nella sua complessità, chiaramente legato allo stile narrativo di Dark. Nulla toglie all’originalità di una serie che, nonostante le evidenti influenze di quanto già visto e scritto, propone nella sua prima stagione un genere nuovo, capace di mescolare insieme thriller psicologico e sci-fi.