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L’io poetico di Vittorio Sereni

di Angelo Gasparini / 30 aprile

Vittorio Sereni è uno degli autori che ogni aspirante poeta o scrittore, in genere, dovrebbe avere sul comodino. In lui ritroviamo la trasparenza linguistica, i temi e la dialettica sofferta tipici della grande poesia. La coscienza, spesso sotto forma di poesia intimistica, costituisce, per l’autore, un macigno ineludibile, quell’ostacolo invalicabile dal quale non si può prescindere. I conti risultano sempre aperti e sono lo spunto di una profonda autoanalisi, di un’accurata disamina storica e sociale. Sereni aveva preso parte alla seconda guerra mondiale ed era stato prigioniero in Algeria, fatto personale e storico alla base della raccolta Diario d’Algeria. Inoltre, uomo più intellettuale che mondano e politico, aveva sempre sofferto il fatto di non aver preso parte alla guerra partigiana. Da questo evento, nasce il senso di colpa dell’appuntamento mancato nei confronti della storia. Rimpatrierà in Italia solo nel 1945. La sua concezione del nemico, come in Ungaretti, Pavese e De Andrè – penso a “La guerra di Piero” – è un sentimento di pietas nei confronti di un uomo che, pur indossando un’altra divisa, condivide la stessa identica miseria.

L’appuntamento mancato è, ad ogni modo, alla base della frantumazione dell’io, la cui coscienza è vigile e torna sempre a bussare alla porta. L’io poetico si manifesta sotto varie forme: dalla riflessione autobiografica a quella incentrata sul fatto storico, dall’abbozzo paesaggistico alla speculazione intimistico-filosofica fino ad arrivare alle varie sfumature del “tu”. Il “tu”, come spesso accade, può essere l’alter egodel poeta ma non è cristallizzato e, in molti casi, coincide con il tentativo di dialogo con una persona cara, una donna o a un grande amico. L’amicizia, appunto, è un valore assoluto e universale corrispondente, nel nostro autore, alla coscienza dell’esistere, costituisce il “contrappeso” al fluire del tempo, alle fatiche e sofferenze del quotidiano. L’affanno psicologico sempre vigente in lui è, lo ribadiamo ancora, legato al senso di colpa nei confronti delle negligenze storiche, dell’appuntamento mancato. La colpa, malgrado più volte meditata e rielaborata, non giunge mai all’espiazione ma, semmai, può essere solo accettata e dolorosamente pacificata.

Le colpe, l’impegno sociale e personale nel quotidiano sono come i versi che vengono fatti per «scrollarsi un peso/ e passare al seguente». Ne discende un atteggiamento verso la vita fatto di pragmatismo e speculazione il cui contrappeso è costituito dall’amicizia. Il «fastidioso debito» è sempre presente e la sua ammissione non ha nessuna funzione redentrice né salvifica, ma altri non è che la coscienza spietata che tutto riannoda. In buona sostanza, assistiamo a una parabola civile in cui testimonianza e disamina storico-autobiografica costituiscono i due poli della poetica.

Altro punto fondamentale della poesia di Sereni è costituito dalla topografia: se da un lato abbiamo a che fare con il mero scenario in cui si svolgono gli eventi, dall’altro la scelta dei luoghi non è mai casuale ed è caricata di una funzione simbolica. La Cisa, Zenna, Creva, Belgrado, l’Algeria, Via Scarlatti e Luino sono le tappe che scandiscono l’esistenza del poeta, i varchi che portano da un momento all’altro della storia ricostruendo il quadro di un’esistenza singola e di un intero periodo consegnato alla storia. L’attenzione alle classi sociali e alle loro difficoltà (“Una visita in fabbrica”) così come il riguardo verso i fatti storici più eminenti (“Frammenti di una sconfitta”, “L’otto settembre”) è costante, una vera vocazione.

La poesia di Sereni è una lirica profondamente intima, pragmatica e scandita da un linguaggio semplice, soppesato e, per lo più cristallino, ma mai scontato. Nella sua vita, come nella sua opera, ci sono molti influssi novecenteschi che, a tratti, il poeta cerca di superare.

In conclusione, la poesia di Sereni ha un’indubbia aspirazione al diarismo e al romanzo in versi in cui, l’io (e le sue innumerevoli sfaccettature) è il protagonista assoluto della narrazione. La lirica dell’autore è, in una parola, «onesta», come avrebbe detto Umberto Saba, portatrice di valori universali e mediata da uno spirito dolorosamente pacificato. Sereni si era sempre tenuto fuori dalla querelle letteraria, preferendo il silenzio e il lavoro alle luci della ribalta e mondanità. Tra i suoi estimatori c’erano Attilio Bertolucci, con il quale condivideva l’aspirazione al romanzo in versi (La camera da letto) ed Eugenio Montale che del poeta lombardo apprezzava la coerenza linguistico-discorsiva, l’incisività dei frammenti e la tendenza al canzoniere, inteso sia sul versante amoroso che con l’accezione di cronistoria della vita di un uomo.