Flanerí

Libri

“Sacré Bleu” di Christopher Moore

di Luigi Ippoliti / 20 luglio

«Come fate a sapere, quando pensate al blu – quando dite blu –, che state parlando dello stesso colore che pensano tutti?»

Le riletture iniziano ad avere un ruolo fondamentale nella bibliografia dello scrittore statunitense Christopher Moore. Prima il Vangelo, poi Re Lear. Con Sacré Bleu (Elliot, 2012) Moore si auto-assurge a burattinaio del mondo dell’arte e, in generale, della genesi delle maggiori opere dell’uomo, attraverso il Colorista, figura ambigua e angosciante, in un romanzo pieno di humor e di suspance.

Tutto ruota attorno a Lucien Lessard, pittore-panettiere. Touluse Lautrec, suo amico fidato, passa il tempo bevendo («dipingerei anch’io qualche fattoria, ma le mettono tutte così lontano dal bar») e nei bordelli. La morte di Vincent Van Gogh scuote le coscienze degli artisti. Theo, il fratello, quello che espone gli Impressionisti, è sconvolto. Poco dopo, muore anche lui e sono gli artisti a rimanere turbati. Gauguin, sottolineando il “dramma” del dover vivere per e con l’arte dice: «Come farò a sopravvivere, adesso? Theo era l’unico che mi vendeva i quadri».

Intanto Lucien conosce Juliette, che diventa amante, modella e musa. Si chiudono nella stanza dietro la panetteria, lui dipinge, lei si lascia dipingere. Fanno l’amore. Mamma Lessard, che già detesta il modo di vivere del figlio e dei suoi amici, non approva questa relazione. C’è qualcosa di strano in quella ragazza. E qualcosa, infatti, non va. Lei sparisce per due anni, e il giovane pittore-panettiere va in crisi. Da questo momento in poi, Lucien, assieme a Touluse-Lautrec, si imbatte in una storia dai risvolti impensabili per l’umanità, dove l’importanza e il senso più profondo del Sacré Bleu (interessante, comunque, pensare al significato arcaico dell’espressione francese sacrebleu) prende piede di pari passo con lo scorrere dei fatti. E mentre i due cercano di capire quale segreto si celi dietro il blu oltremare, e chi (cosa?) sia il Colorista, continui sbalzi temporali, dalla Londra del XIX secolo con Whistler, alla Roma di fine XV secolo con Michelangelo (memorabile il discorso del Colorista all’artista di Caprese: «Che si fotta, il diavolo. Sono io che dico al diavolo cosa fare. Il diavolo mi spolvera lo scroto con la lingua. Il David di Donatello ce l’ha in mano, il testone. Non puoi fare meglio di Donatello. Meglio che ti dai alla pittura»), vanno a comporre, un po’ alla volta, la struttura di un’opera dal ritmo serrato, che toglie il respiro, in cui appaiono, tra gli altri, personaggi illustri della pittura francese come Manet, Pisarro, Degas e Renoir – il momento in cui viene descritto il tentativo di Manet di cogliere il colore del fumo dei treni ha una potenza poetica da rendere l’episodio un racconto a sé stante.

Moore, come con Biff ne Il Vangelo secondo Biff (Elliot, 2008) e Taschino in Fool (Elliot, 2009), trasforma la parodia in verità. La forza con cui Lucien Lessard diventa a tutti gli effetti un impressionista e il Colorista il perno su cui ruotano le sorti dell’arte, confermano un concetto espresso da Giancarlo De Cataldo nella quarta di copertina: Moore è «un autore da trattare con la venerazione riservata a mostri sacri come Neil Gaiman e Haruki Murakami».

In fondo, il ritmo, la trama, l’ironia, sono il modo con cui lo scrittore statunitense sembra chiedersi: qual è il vero rapporto tra Uomo, Arte e Dio?


(Chistopher Moore, Sacré Bleu, trad. di Luca Fusari, Elliot, 2012, pp. 320, euro 18)