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Libri

“Il suono della mia voce” di Ron Butlin

di Tommaso Di Felice / 14 dicembre

Del romanzo Il suono della mia voce di Ron Butlin (Socrates, 2004), ciò che attira fin da subito è la trama. Poeta e scrittore scozzese, l’autore pubblica il libro in questione nel 1987 e, almeno in Gran Bretagna, diventa un caso letterario.

Il protagonista di Il suono della mia voce è Morris Magellan, giovane e brillante dirigente di una nota azienda di biscotti in Scozia. Ha trentaquattro anni, una bella casa con giardino, una moglie e due figli che lo amano, insomma, una vita tranquilla. Un classico, ciò che la maggior parte delle persone sogna di realizzare.

Eppure, Morris non è felice, quella vita gli sta stretta, è come un cappio al collo che giorno dopo giorno lo soffoca, inesorabile. Non riesce a essere un buon padre di famiglia, e nemmeno a recitarne la parte. In questo vortice, i figli  vengono chiamati«le accuse», e sono una presenza scomoda, imbarazzante. L’unica cosa che lo risolleva, o che comunque lo distrae da quella vita soffocante, è l’alcol, «il solvente universale»: whisky, gin e cognac.

Il bere, il chiudersi da solo in ufficio o nel salotto di casa per scolarsi anche una bottiglia intera, non viene vissuto come un problema ma come una soluzione, l’unica soluzione possibile. La vera radice del problema sembra essere la morte del padre, evento mai accettato: per sentirsi normale, Morris ha bisogno di bere ed è convinto di poter gestire questo suo lato oscuro: «Il segreto dell’alcool sta nel sapere come usarlo – e non lasciare che sia lui a usare te. Un bicchiere ricarica il sistema, lo fa ingranare; ma due potrebbero essere troppi. Sapere quando bere e quando fermarsi – questo è il trucco».

Il protagonista parla di se stesso in seconda persona: dandosi del “tu”, spera di allontanare le sue colpe e le sue ombre, quel demone che non gli lascia scampo. Ma ciò non lo assolve. Solo nella pagina conclusiva finirà col parlare in prima persona, evitando di trascinare nel baratro chi gli sta intorno e lo sopporta da una vita, con rassegnazione e compassione. Consapevolezza che, immancabilmente, lo fa sentire ancora peggio: «Strade di fango, cieli di fango e – dentro di te – fango che saliva. Bevi per arginarlo, per evitare di soffocare. Bevi per guadagnare un’altra boccata d’aria – e così sei sopravvissuto a quel pomeriggio. Ultimamente è diventato difficile sopravvivere anche al mattino. A volte ti svegli che stai già soffocando nel fango. Ma non sempre, non ancora».

La prefazione è curata da Irvine Welsh, noto scrittore scozzese e già autore, tra gli altri, di romanzi come Trainspotting e Colla. È proprio lui a farci notare come Morris non sia la vittima dei party sfrenati a base di droga e alcol degli anni Ottanta, quanto piuttosto di un malessere e di un disagio interiore tipico della nostra epoca. Un senso di vuoto che attanaglia l’anima.

Il suono della mia voce non è uno di quei tanti libri che parlano di alcolismo in modo banale, quanto la lucida e implacabile critica di un periodo vuoto e conformista, troppo spesso votato all’effimero. Sorprende come sia stato sottovalutato, snobbato.


(Ron Butlin, Il suono della mia voce, trad. di Silvana Vitale,Edizioni Socrates, 2004, pp. 122, euro 10)