6/ Viva l’Italia

di / 17 marzo 2011

26 giugno 1849

Caro José, mio amato, ti scrivo poche righe da affidare a una staffetta che mi preceda a Roma. Sono sbarcata a Livorno e ora posso osservare lo stesso mare che bagna il tuo eroico battaglione. Presto ti raggiungerò a Villa Spada, presto cavalcherò al tuo fianco…

Ana Maria alza gli occhi dal foglio, ha i capelli tagliati corti e una divisa da ufficiale dei legionari, lo sguardo deciso scolpito in un viso ovale. La pelle da creola e lo spirito indomito di chi ha combattuto per la libertà dei due mondi, gli occhi preoccupati di una donna che rincorre il coraggio testardo del corsaro che ha seguito da Montevideo fino all’altra parte del mondo. L’uomo che ha visto solo e sconfitto, con la flotta in fiamme, ma mai avvilito. Nel suo ventre il loro bambino scalcia, un colpo secco, che le gonfia il ventre e per un istante le blocca il fiato. Josè le ha detto di restare a Nizza ma ormai non c’è più ragione di restare lì. Ormai ha deciso di morire accanto a lui, combattendo ancora, ancora per la libertà di un popolo che non è il suo.

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Uomini abbronzati dal sole, coi capelli lunghi e arruffati, e i cappelli conici ornati da piume nere e ondeggianti, coi visi allampanati bianchi di polvere e incorniciati da barba incolta, con le gambe nude, che si accalcano intorno al loro capo, che, montato su un cavallo bianco, era perfettamente statuario nella sua bellezza virile.

Descrizione dei garibaldini appena arrivati a Roma fatta dello scultore neoclassico John Gibson

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20 marzo 1861

Sire,

Tosto ch’io ebbi fatto conoscere al Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri sera la necessità di chiamare nei Consigli della Corona dei rappresentanti dell’Italia meridionale, i miei colleghi risolsero unanimi di deporre nelle mani di V.M. le loro demissioni. A ciò fare furono indotti dal desiderio di lasciare libero il campo a V.M. nella solenne occasione che trattasi di costituire per la prima volta un Ministero che abbracciar deve tutte le parti d’Italia; ed ancora per un sentimento di reciproco riguardo.

 Lettera di Camillo Benso Conte di Cavour al primo re dell’Italia unita, Vittorio Emanuele II
 

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«Ehi aspetta che sono quei sacchi?», dice uno.
«Quali sacchi?», dice l’altro accendendosi una sigaretta. È l’ultima poi dovrà tornare all’emporio.
«Quei sacchi, cazzo», si avvicina e ne apre uno, tira fuori una scheda «queste non sono state scrutinate».
«No, direi di no», dice l’altro avvicinandosi. I due si guaradono per alcuni secondi, il tempo di attraversare la storia degli ultimi vent’anni.
«Aprine una».
«Repubblica».
«Repubblica», dice l’altro.
«Giusto, Repubblica».

 Sotterranei del Viminale, 10 giugno 1946


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L’Italia contadina e paleoindustriale è crollata, si è disfatta, non c’è più, e al suo posto c’è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione, del tio che ho accennato qui sopra (modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante, ecc.).

Pier Paolo Pasolini, “Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia”, 10 giugno 1974


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cazzaniga

Rino Gaetano, Nun te reggea cchiù

 

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Fatta l’Italia e fatti gli italiani

Dichiarazione rilasciata da uno spacciatore di eroina pagato dal governo negli anni ‘80

 
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Il caldo pesa sulla casa come una maledizione. Mia madre ha preparato le fettuccine, è tutto il pomeriggio che cucina, mio padre è rimasto al bar. Sfoglia la «Gazzetta» con veemenza, non legge nessun articolo, la chiude e poi la riapre dall’inizio, ogni volta controlla l’orologio. Alle 7 il bar è vuoto, Gianni ha montato il televisore sopra il bancone, dietro le bottiglie trasparenti di grappa, ma ormai per le strade non c’è più nessuno. Il 20 luglio del 1982 Francesca mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che non potevamo continuare così. Ha bisogno di parlare, vuole confrontarsi, vuole testare le fondamenta sgretolate del nostro rapporto. Continua a parlare, dice «Gianni, Gianni, cosa ti è successo?», dice «Gianni perché non mi ascolti», «Parlami Gianni, Parlami». Non riesco a dire niente, la lingua articola sillabe che restano bloccate tra i denti. Lei corre via piangendo, io corro a casa pedalando come un forsennato, fendendo il silenzio con il mio Bravo di seconda mano. Quando entro a casa Bruno Conti attraversa il centro del campo, siamo sul 2 a 1, la voce di Pizzul risuona per il salone, mio padre neppure mi guarda, mio zio e mio cugino accanto a lui si limitano a un grugnito. Mi siedo sulla sedia dietro il divano. Le donne sono di là, in cucina. Scirea in area scambia il pallone con Bergomi, poi lo appoggia indietro, al limite dell’area, Tardelli prova a stopparlo ma il pallone si alza, rotola beffardo verso il difensore tedesco. Mio padre si alza e io non vedo più nulla. Poi tutta la città comincia a gridare, è un boato che straccia l’aria, buca l’afa opprimente e allora grido anche io mentre sopra le spalle di mio cugino vedo Tardelli che corre verso il centro del campo le braccia alzate scuote la testa e allora piango, grido e piango, e mio padre se ne accorge e allora mi abbraccia, gridiamo insieme. Andiamo in finale, diciamo, in finale.


*

Mi scusi Presidente
se arrivo all'impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
ma ho in mente il fanatismo
delle camicie nere
al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
questa democrazia
che a farle i complimenti
ci vuole fantasia.

Giorgio Gaber, Io non mi sento italiano


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La Lega resta al centro della bufera per le celebrazioni sull'Unità d'Italia. Dopo il caso della Lombardia, i leghisti anche in Emilia se ne vanno dall'aula al suono dell'inno. Inoltre, il Carroccio potrebbe non presentarsi domani a Montecitorio per partecipare alla seduta comune del Parlamento convocata per la festa dei 150 anni.

«La Stampa», 16 marzo 2011


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Studi Rai Febbraio 2011

Lopez, capelli bianchi tirati all’indietro, i lineamenti scavati nel viso, siede alla sua scrivania con la testa tra le mani. Ogni tanto il suo respiro rantola sul palato, ruota nel naso ed esce con un sonoro grugnito. Alla sua segretaria ha detto che non vuole essere disturbato, ma quando il direttore generale telefona, lei non ha dubbi. Si alza, si sistema la gonna lungo le gambe e spinge il tasto rosso del centralino automatico Centrex 28 Fase III. Lo studio di Lopez è invaso da un trillo pungente che lo colpisce all’orecchio di soprassalto, facendolo sbandare sul tavolo. «Anna, ma che cazzo», dice in uno sbadiglio intenso, la mascella si spalanca, avida di aria già respirata, le labbra si contorcono per finire in un altro grido: «Anna!».
Lei apre la porta con un dito si calza gli occhiali sul naso e dice: «Dottore è il Direttore… ». Lopez ha un sussulto, spinge il bottone rosso che lampeggia sul suo apparecchio e dice: «Buongiorno Dottore, come sta?».
Dall’altra parte del telefono si sente la melodia dolce di una hula, che accompagna lo sciabordio delle onde. «Lopez allora come stiamo messi per il 17 marzo», dice la voce nella cornetta.
«Benissimo dottore, ho parlato con Vespa e Baudo, hanno già firmato i contratti e…».
«Sì, sì questo già lo so Lopez, non mi faccia perdere tempo per la puttana, mi dica degli ospiti».
«Certo, certo dottore», prende un fascicolo di fogli spillati dall’angolo della sua scrivania, gira le pagine con violenza, poi trovata la lista comincia a scorrerla con il dito medio. «Allora Dottore, abbiamo Sofia Loren come madrina, poi c’è Albertazzi che fa D’Annunzio, Raoul Bova farà Cattaneo, poi hanno confermato la loro presenza Massimo Ranieri, Gianni Morandi…».
«Sì, sì Lopez va be’, chi fa Anita?».
«Anita…Anita…», scorre la lista, gira i fogli, nervoso, come se volesse lanciarli per la stanza, «Anita…», dice.
«Anita la fa Belen, Lopez», la voce del Direttore non ammette repliche.
«Belen?», gli fa eco Lopez, «certo Direttore, perché non ci ho pensato prima, certo, Anita la farà Belen. Lei è un genio Direttore, solo lei poteva capire che Belen è la persona giusta per fare Anita, entrambe sudamericane, molto belle, determinate…, Direttore lei è un genio…».
«La smetta di leccarmi il culo Lopez e si metta a lavorare per la puttana», la comunicazione viene risucchiata dal silenzio, le onde, la hula spariscono in un tunnel di cavi sotterraneo, lasciando Lopez con la bocca ancora spalancata e un senso di attesa nella stanza.

 

*
 

L’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare,
L’italia metà giardino e metà galera,
viva l’Italia, l’Italia tutta intera.[…]
L’Italia con gli occhi aperti nella notte triste,
viva l’Italia… l’Italia che resiste.

Francesco De Gregori, Viva l’Italia

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