7/ Acting Presidents

di / 12 aprile 2011

Disegni di Phoebe


La truccatrice continuava a girargli intorno come un’enorme mosca rinchiusa in uno spazio troppo piccolo: compieva traiettorie spigolose, a scatti, finendo sempre per schiacciare il suo dischetto di cipria contro la fronte unta del candidato, che, allungando il collo e sporgendosi sulla sedia, cercava di cogliere il proprio riflesso nel vetro bombato della telecamera. Lo studio in cui registravano era in una grande stanza, in un capannone appena fuori il raccordo. Gli scenografi avevano posizionato una parete finta in mezzo alla stanza, una parete tondeggiante, rivestita da un’alta libreria in mogano, un legno scuro in cui erano incastonate file di libri. Sul set c’erano almeno dieci persone, oltre il suo avvocato e il suo consulente politico. Tutti avevano qualcosa da fare: gli elettricisti spostavano le luci, l’addetto alla fotografia misurava l’intensità dei colori, l’aiuto regista strillava ordini, il consulente politico scriveva e l’avvocato telefonava; tutti si muovevano a velocità frenetica, tutti tranne il regista che fumava lentamente, stanco e annoiato. Una fitta ragnatela di cavi elettrici di ogni colore ricopriva il pavimento. Qualcuno gridò: «Accendi» e il candidato si domandò se i libri fossero veri o se fossero semplici scatole a forma di volume finemente rilegato. Un elettricista attraversò lo studio e attaccò le estremità di due cavi blu, dalle lampade si formò un cono di luce che investì con violenza il candidato. Lui strizzò un po’ gli occhi e, contraendo il viso, sentì il mascara rinsecchito tirargli sotto le guance. Si sforzò di fissare il punto di luce e lentamente si abituò. Le figure intorno allo studio furono fasciate dal buio e sparirono dalla sua vista. Il candidato osservò il pulviscolo che turbinava nel cono di luce. Li osservò ruotare su sé stessi, li osservò capovolgersi e incontrarsi, qualcuno usciva dal fascio e immediatamente spariva, inghiottito dal silenzio. Il candidato guardò quei corpuscoli velargli le spalle come uno strato di polvere dorata e sentì di essere destinato a grandi cose.
«Carla», gridò il regista guardando sul monitor. «Carla, ha la fronte che riflette, fai qualcosa ti prego».

*

BERLUSCONI SHOW A MILANO: «SARÒ SEMPRE IN AULA»
«Leggo», 28 marzo 2011

BERLUSCONI, SHOW IN AULA
E POI DI NUOVO SUL PREDELLINO
«Il Secolo XIX», 29 marzo 2011

LO SHOW DI BERLUSCONI, UN CICLONE IN TRIBUNALE
«il Giornale.it», 29 marzo 2011

BERLUSCONI SHOW FOREVER
«il Fatto Quotidiano.it», 29 marzo 2011

BERLUSCONI ESCE DAL TRIBUNALE,
SHOW IN MEZZO ALLA FOLLA
«Corrieretv.it», 29 marzo 2011

*

«Riprendi, riprendi. Guarda che facce».
«E mo’ chi glielo dice che devono tornare a casa a questi?»
«Ma che ti frega a te, tu riprendi e basta, che questa è roba grossa. Spara quella luce tu, gli si deve riflettere sul viso e tu fai tutti primi piani, mi raccomando. È pronta Rita? Rita», grida, «Ritaaa».
«Eccomi, stavo sistemando il testo».
«Ok, fammi sentire come attacchi».
«Anche oggi a Lampedusa l’esodo prosegue…».
«Fa schifo», la interrompe. «Devi fare una roba alla Caressa del tipo: “I volti scarni ed emaciati, i desideri partoriti tra le onde del Mediterraneo – una roba epica capito?».
«Sì, ma…».
«Va bene, allora siamo pronti», poi rivolto a tutti:«Dai che andiamo in onda». Si gira verso Rita: «Dai Rita che stasera battiamo tutti, facciamo il record stasera Rita, me lo sento».

*

Sullo schermo ronzante scorrono le immagini di Gheddafi sulla sua auto circondato da una folla urlante. Le parole concitate di un cronista escono frenetiche dagli altoparlanti del piccolo televisore a casa di Said a Misurata, Libia.

«Ma cosa è questa roba?».
«Dice che il rais è uscito di casa e sta incontrando la folla a Misurata».
«Che zona?».
«Qua fuori, è qua fuori».
«Io non sento niente».
«…».
«Non senti niente perché non c’è nessuno. – Sono le immagini dello scorso anno».
«…».
«I francesi non ci crederanno, e neppure gli americani».
«Fidel Castro lo fa da una vita…».
«Sì ma Castro non è stato bombardato».
«…».
«Non ci crederanno mai».
«No».

*
Parigi 4 agosto 2011. Residenza del Presidente Sarkozy, due del mattino.

«Boff», sbuffò il Presidente infilandosi la giacca. «Trentadue ciak per un bacio mi sembrano decisamente troppi». Mi sembra un abuso sessuale Benoît, ecco cosa sembra.
«Quel testa di cazzo, io gli faccio radere al suolo casa, lo bombardo. Lui sarà pure Woody Allen ma io sono Le President, putain, il presidente della Francia. E per quel nasone di Owen Wilson fai preparare una bella diffida a rientrare qui e controlla se ha proprietà in un nostro paese, che so in Guinea o in Martinica…».
«Si calmi presidente».
«Calmo un cazzo Benoît, calmo un cazzo».
«Mais ça c’est ouf», sibillò Benoît. «Presidente non può uscire alle due del mattino così. È troppo pericoloso».
«Ta gueule Benoît, avverti la scorta, on y va». Il Presidente afferrò il cellulare, con tre passi percorse lo studio. Mentre apriva la porta Benoît disse: «Presidente ci saranno sicuramente molti fotografi e finirà sui giornali e…».
Il Presidente si fermò con la mano sulla maniglia di ottone. Restò lì alcuni istanti pieni di incertezza, poi si girò con un’espressione indecifrabile che piazzò sul volto di Benoît, e disse: «Come sto? Devo cambiarmi giacca vero?».

*
Washington settembre 2009. Casa Bianca, Studio Ovale.

«Innanzi tutto ricordiamoci che, ci piaccia o no, questo è tempo di mutamento. E siccome il nostro popolo ha avviato il mutamento del mondo… Le dispiace se ripasso un po’ il discorso?», chiede il Presidente al fotografo che sta finendo di sistemare le ultime luci.
«No no faccia pure».
«Ho pensato che così poi sembrerà più naturale… È questa la posizione giusta?».
«Sì presidente» risponde il fotografo senza guardarlo.
Il presidente riprende a parlare gesticolando di tanto in tanto. Sua figlia continua a correre per la stanza, sembra invasata.
«Non si tratta tanto di decidere se, in un mondo che muta, noi sapremo reagire nella maniera che si conviene alla “terra dei liberi”, alla “patria dei prodi”; se sapremo cavarcela… Piccola, per favore, vuoi stare un po’ ferma, devi metterti dietro il divano».
Lei smette di correre, guarda il padre, poi guarda il fotografo.
«Vieni cara, mettiti così». Il fotografo la prende per mano e la fa accovacciare dietro il divano. «Bravissima, così». Per un attimo la calma scende silenziosa nella sala ovale.
Il presidente scruta la scena poi dice: «Ma JFK non stava messo così».
«No signor presidente ma non vorremo fare delle foto identiche?».
«Ah no?».
«No, signore le citiamo soltanto, le altre».
«Tu dici che si capisce?».
«Certo che si capirà…».
La bambina gattona un po’ dietro il divano, poi sbuffa, si alza e si mette a ballare cantando Bonnie e Clyde.
«Sicuramente John John era più ubbidiente, vero Pete», dice il presidente alzando la voce, lo sguardo fisso negli occhi di sua figlia.
«Certamente, signor presidente».
«Hai visto – dice con tono serio – John John si era lasciato fotografare senza fare tutte queste scene».
La bambina si ferma, incrocia le braccia, e con tono di sfida dice: «Non mi importa niente di John John».
«Ma piccola…».
«E neanche di Kennedy me ne importa niente».
«Questo è decisamente troppo signorinella, – dice il presidente – con questo atteggiamento non entrerai mai nella nuova frontiera. Vai in camera tua, faremo la foto più tardi…».
La bambina si allontana con la testa alta, a passi veloci, esce dalla stanza e poi chiude la porta facendola sbattere contro lo stipite. Nella stanza ovale torna il silenzio, il fotografo guarda il presidente, lui scuote la testa sconsolato: «Cosa è accaduto alla nostra nazione?».

*

Studi Rai, febbraio 2010

«Chi reciterà per i 150 anni di Italia da Vespa?».
«Vendola, Lopez, Nichi Vendola».
«Il comunista?».
«Sì Lopez, lui».
«Farà X…».
«E si maschera, con il cappello e tutto il resto?».
«Sì Lopez, si maschera. Ha capito?».
«Sì, sì Direttore – Che idea geniale Direttore solo lei p…».
«Non cominci a leccarmi il culo come al solito Lopez, arrivederci».
«Sì, sì mi scusi Direttore… arrivederci… arrivederci».

*

Nel buio liquido dello schermo galleggiano delle sagome verdi. Dalle casse sopra il divano la voce concitata di un inviato descrive i bombardamenti notturni di Misurata, Libia.

«È uno spettacolo veramente incredibile, vedete quel puntino verde in alto sullo schermo? …Ecco quello è il razzo che è appena stato lanciato. Sembra un videogioco ma è la realtà. Qui da terra noi possiamo osservare bene la posizione dell’incrociatore americano nella baia, le scie che vedete che attraversano il cielo sono dei nuovi razzi. In questi giorni il bombardamento si sta infittendo, gli americani stanno fornendo un’assistenza a tamburo ai ribelli…».
«Questa esplosione verde che vediamo, Carlo, è…».
«Sì Sara, vuol dire che il razzo ha centrato un bersaglio sensibile, potrebbe essere un carro armato, un deposito di munizioni, una pompa di benzina… ma anche una stufa a gas in effetti».
«Dunque non hai la certezza che non siano stati colpiti civili?».
«…No, no Sara, non posso avere questa certezza ma…».
«In questo momento dunque potrebbero essere stati colpiti dei civili, amici telespettatori, in questo momento».

*

Quando metto un piede a terra subito un uomo in divisa mi stringe il braccio e mi incanala in una lunga fila. Qui in Italia è notte ma intorno a noi delle grosse luci illuminano la spiaggia come fosse mezzogiorno. Intorno a noi si muovono decine di persone, ci sono poliziotti, uomini con delle pettorine, volontari e giornalisti. La fila procede lenta, e ogni minuto qualcuno si ferma. Si sentono delle donne piangere, e Abdil mi chiede perché piangono. Io gli dico che sono lacrime di gioia e allora anche lui comincia a piangere, comincia a gridare che Allah è grande e che siamo liberi. Una donna si avvicina a lui con il microfono. Dice qualcosa in italiano che non capiamo. La ripete in francese. Vuole sapere che cosa ci aspettiamo. La libertà rispondo io. Lei mi dice di guardare verso la luce calda che arriva da sopra una duna di sabbia. Io provo a guardare ma mi bruciano gli occhi. La fila è ancora ferma e qualcuno grida degli ordini incomprensibili. Abdil è sparito. Lo chiamo, ma la mia voce non riesce a superare le grida, il pianto, la risacca del mare. La giornalista continua a parlarmi ma io non la sento più, chiamo Abdil, cerco di uscire dalla fila, ma subito qualcuno mi afferra il braccio. La giornalista mi avvicina il microfono e in francese mi chiede chi sto cercando. Mio figlio, dico, e lei dice fantastico, lo può ridire guardando la telecamera. Magari, mi dice, magari può dirlo lentamente con una bella espressione drammatica?

*

IMMIGRATI/ PIANO DI BERLUSCONI PER LAMPEDUSA-MONOPOLI, ED È SHOW
«l’Unità», 30 marzo 2011

SHOW DI BERLUSCONI A LAMPEDUSA: LIBERA IN 2 GIORNI
«LA7.it», 30 marzo 2011

BERLUSCONI, SHOW A LAMPEDUSA. ENTRO 48-60 ORE ISOLA LIBERATA
«la Repubblica.it», 30 marzo 2011

LAMPEDUSA, BERLUSCONI SHOW: «IMMIGRATI VIA IN 48-60 ORE»
Silvio promette pure l’apertura di un casinò e di un campo da golf. Assicurata poi una moratoria fiscale, bancaria e previdenziale
«la Gazzetta del Sud», 31 marzo 2011

IMMIGRATI/ BERLUSCONI SHOW: «COMPRERÒ PESCHERECCI E VILLA SULL’ISOLA». RIVOLTA IN PUGLIA
«Affaritaliani.it», 31 marzo 2011
 

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