I racconti dell’avvocato

di / 4 ottobre 2011

Sento dire in giro che di libri italiani davvero piacevoli e ricchi di contenuto ce n’è pochi.
Forse è vero, ma di certo i deliziosi racconti di quel grande  avvocato che è (purtroppo) stato Oreste Flamminii Minuto fanno parte di questa minoranza.
Leggere questo libro è un po’ come mettersi la domenica pomeriggio davanti al televisore e trovarsi, per qualche strana alchimia, non ad ascoltare le voci multiple e perennemente alterate di agitati cronisti, “bordo campisti ” ed esperti vari che straparlano di un Catania-Parma, incontro clou per l’ottavo e il nono posto del campionato di serie A.
Piuttosto la cronaca ironica, competente e puntuale di un Roma-Inter dalla voce pastosamente radiofonica di Sandro Ciotti, prestato per una volta alla tv, rigorosamente in bianco e nero.
La voce di un’Italia che sapeva ancora schierarsi con la legge, con la lieve ed ironica serietà che contraddistingue i giusti e gli intelligenti.
I racconti dell’avvocato Flamminii evocano, per una strana combinazione di affinità e contrasto, quelli dell’avvocato Guerrieri, personaggio nato dalla penna brillante di Gianrico Carofiglio. Figlio del terzo millennio quest’ultimo, disincantato e sconcertato dall’epoca  sgangherata che gli tocca vivere, altrettanto smaliziato ma  anche legato a doppio filo ai principi intrinsecamente legati alla sua formazione  il primo, protagonista di vicende  di grande eco mediatica o piccoli fatti privati comunque reali e comunque trattati con l’identico tocco sottilmente graffiante e godibilissimo.
Due forme di rettitudine parallele, che simboleggiano due modi di “stare al mondo”  legati al cambiamento di percezione del concetto di legalità intervenuto negli ultimi anni in Italia e non certo nella direzione più rassicurante.
Flamminii Minuto se n’è andato poche settimane fa lasciando un’ eredità  enorme e, oltre al dispiacere che accompagna sempre la perdita di un essere umano, resta in molti  la sgradevolissima sensazione  che questa eredità sarà raccolta da un numero di persone inversamente proporzionale al degrado culturale dilagante nel nostro paese. 

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