Le notti sembravano di luna

di / 4 ottobre 2011

Due gambe portentose, esili e potenti al tempo stesso, lisce e sode, possono aiutare a superare ostacoli e tristezze. Perché con quelle gambe è possibile correre a perdifiato in sella a una Chiorda d’argento per le strade-corridoi della città-palazzo, attraversare orti, cantine, case che sembrano scatole rosse e cortili per giungere infine al fiume dove tutto scorre in perfetta pace e solitudine.
Questo pensa Caterina Guerra, protagonista di Le notti sembravano di luna di Laura Bosio (Longanesi, pp. 216, Euro 16,60).
Caterina ha 10 anni e un sogno nel cassetto: diventare la seconda donna, dopo Alfonsina Strada, a gareggiare in maniera ufficiale al Giro d’Italia.
Caterina va veloce e ogni giorno migliora il suo tempo cronometrandolo con l’orologio quadrato del nonno Anarchico, ma sa che il suo è un sogno irrealizzabile anche se preferisce non pensarci. In compenso è la madre Adele a ricordaglielo in continuazione. Muzi, nomignolo con cui la ragazzina ama chiamare la madre dopo averlo sentito dire al mare da una bambina tedesca, è bella e inquieta, un’ombra sfuggente per la figlia e una poco di buono per il taciturno marito: «Non aveva amiche, tranne le sorelle, e non lavorare, imposizione del marito che voleva essere un sollievo, per lei era stata una sofferenza. Per lei quasi tutto lo era».
Enrico, il padre della bambina, fa l’operaio, è caporeparto in una litografia. La sua fabbrica si trova proprio di fronte a casa, un appartamento situato nella periferia di una città imprecisata del Nord Italia. Enrico è rispettato e battagliero a lavoro quanto remissivo nel rapporto con la sfuggente moglie. Caterina è orgogliosa del padre che spesso osserva fare comizi al balcone gesticolando a una immaginaria folla di concittadini che altro non sono che le piante dell’orto. Lo osserva attaccandosi ai vetri della finestra con le sue guance da bimba o acciambellata ai piedi del divano di vimini rosso e lo capisce. Capisce le sue frustrazioni sociali e sentimentali.
Sullo sfondo c’è l’Italia Anni Sessanta del miracolo economico, le lotte sindacali e le morti in fabbrica, l’Italia dei primi programmi televisivi e delle radiocronache del Giro o del Tour de France.
La vita di Caterina e della sua famiglia continua così a trascorrere apparentemente monotona fino all’estate del 1964 quando Enrico decide di traslocare in una casa più grande. Un evento inatteso cambierà l’esistenza della ragazzina facendo bruscamente svanire quell’incantato mondo dell’infanzia in cui tutto sembra ancora possibile.
La scrittrice vercellese Laura Bosio, dopo il successo di Le stagioni dell’acqua (Longanesi 2007), torna con questo intenso romanzo di formazione a parlarci di sentimenti, sogni e speranze e di quanto siano complicate anche le relazioni familiari. Il punto di vista dominante è perlopiù quello fanciullesco di Caterina, una bambina alla disperata ricerca dell’approvazione materna: «Quelle gambe che suo padre non era più sicuro somigliassero alle sue, lei le avrebbe trasformate in qualcosa di ancora più forte, talmente forte che gli spettatori delle acrobazie sul vialetto, gli amici animali del bosco, il nonno Anarchico, la cugina Grande, la stramba H e persino Adele sarebbero stati orgogliosi di lei. […] Non per le vittorie al Giro e al Tour, o alle altre corse del pianeta e dell’universo, seconda donna della storia a gareggiare con gli uomini e prima a farlo in maniera ufficiale: ma per le sue portentose gambe che avevano dimostrato di saper andare oltre ogni ostacolo, ogni accidente, ogni tristezza, ogni errore volontario e involontario».

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