È morto l’ultimo poeta di una lunga generazione: Addio Zanzotto

di / 18 ottobre 2011

Il punto è: e chi resta? Eh già con Andrea Zanzotto si spegne l’ultima voce di una «quarta» generazione lunghissima, che ha contribuito alla fortuna poetica dell’Italia del dopoguerra. Rimane attivo ˗ e vivo – solo Elio Pagliarani: ma è tutta un’altra poesia, erano già lontani tra di loro, nel turbinio letterario del 1963. Il paese alzava il proprio livello culturale e la voce di Zanzotto già si esprimeva su perturbazioni sociali dense di una complessa alienazione vissute, e a volte espresse, nel suo veneto, in una chiara ricerca di sperimentalismo presente già in Da dietro il paesaggio: «Mese di pochi giorni / o tu docile polpa, / chiaro collo curioso / seno caldo che nutre».

Certo. Non tutto è stato positivo, si pensi a Vocativo, colmo di stilemi ermetici fin troppo fuori d’uso: i plurali emblematici, la continua aggettivazione capziosa, e le fin troppo usate analogie. Il vero momento di svolta è in Ecloghe, dove la letteratura, la lingua diventano espressione totalizzante dell’io e, come ha detto Agosti, il suo critico più puntuale e completo, «il significante non è più collettivo a un significato… ma si istituisce esso stesso come depositario e produttore di senso» e, in un certo senso, l’io-poetico sembra slegarsi ad ogni esperienza rendendo il linguaggio esplosivo e distante. La continua sperimentazione, e il nuovo ruolo del significante, lo porterà ad utilizzare elementi grammaticali in modo copioso e altamente estremo: i morfemi che assumono lo statuto delle parole piene, «volare è un insetto, issimo», le parti del discorso che scambiano i propri ruoli, «E ogni ha in sé la sua piccola teodicea». Il vero peso di Zanzotto nella cultura poetica italiana è nella più alta sperimentazione. Negli ultimi anni si era avvicinato al cristianesimo; anche in questo caso tramite la sperimentazione assistiamo all’avvicinamento al carattere della trasformazione tipica della cristianità: la pars destruens «male s’aggancia / il fatto semantico al fatto fonematico».

Un poeta che come ha detto Montale «suggestiona potentemente e agisce come una droga sull’intelletto giudicante del lettore». In poche righe, in una pagina, parlare di chi ha attraversato un secolo non è mai facile, quella di Montale mi sembra la sintesi migliore. Andrea Zanzotto è morto martedì, i suoi versi in un clima profetico, come sempre, qualche tempo fa avevano sentenziato: «Siamo ridotti a così maligne ore / da chiedere implorare / il ritorno della morte / come male minore». Spero che il suo sguardo sulla società si sia spento senza rabbia ma con una qualche lontana speranza.

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