“Storie di extracomunitaria follia” di Claudiléia Lemes Dias

di / 25 novembre 2011

Storie di extracomunitaria follia, di Claudiléia Lemes Dias (Compagnia delle Lettere, 2009), si struttura in maniera polifonica, intrecciando undici diversi racconti in cui il tema della migrazione viene presentato nei suoi risvolti ultimi: il viaggio è già avvenuto, i popoli si sono mescolati, le certezze iniziano a vacillare su entrambi i fronti. È difficile trovare un'unica formula che riesca a sintetizzare contenuti e storie tanto distanti tra loro, eccezion fatta per l'ambientazione romana che fa da sfondo alla maggior parte dei brevi racconti. Ancora una volta nel repertorio migrante, Roma come crocevia di popoli e culture, metafora spaziale delle difficoltà e dei piaceri di una convivenza così sofferta.

A onor della tradizionale letteratura lusofona, l'autrice brasiliana sceglie di introdurre ogni racconto con una breve citazione che serva da guida nell'interpretazione (non sempre scontata) di quanto ci si accinge a leggere.

La follia annunciata dal titolo traspare in tutte le pagine del libro; ogni capitolo presenta una vicenda a suo modo paradossale, in cui l'assurdità di certi atteggiamenti, di certe paure o pregiudizi trova espressione in testi che sfiorano a volte il fantascientifico. È il caso di “Livia e il drago”, in cui un'anziana e conservatrice abitante di Piazza Vittorio si ritrova di primo mattino un drago cinese in cucina, che con la sua innocenza le scioglierà il cuore. “FPS 25”è una storia che ha tutta l'aria di un sogno, una grande allucinazione, descrivendo gli attimi immediatamente successivi allo sbarco di un manipolo di immigrati africani sulle sabbie dorate di una spiaggia extra-lusso per nudisti. Altrettanto illogici sono i passaggi in apparenza più verosimili, in cui incontriamo immigrati marocchini che guadagnano due soldi per affiggere manifesti elettorali della Lega o una madre che si consola dalla morte in mare del figlio immaginando che sia ora il re di Atlantide.

Nonostante le diverse provenienze dei protagonisti conferiscano al testo un respiro decisamente globale, al centro di ogni trama c'è sempre un confronto, un incontro-scontro con “l'altro” che, teoricamente, dovrebbe portare entrambe le parti a una decostruzione della propria identità e a una sua successiva ricomposizione, più ricca e senz'altro più consapevole della precedente. Tuttavia il timore di perdersi tra gli invasori e non riconoscersi più è talmente forte da creare spesso mondi di eccezionale crudeltà, che l'autrice sceglie di descrivere evitando sapientemente ogni tono compassionevole e punteggiando invece la scrittura con commenti comici e leggeri. Se è vero, come sostiene Amara Lakhous (autore di Scontro di civiltà per un ascensore a piazza vittorio, Edizioni E/O) che la discriminazione è una costruzione razionale, quale arma migliore per smantellarla dell'ironia?

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